Editoriale | Unorthodox: femminilità e sesso come ginnastica per anime vuote
Sesso, emancipazione e femminilità in Unorthodox, la miniserie Netflix di Anna Winger e di Alexa Karolinski, ispirata all'autobiografia di Deborah Feldman.
Spesso, quando si tratta di narrazione, si tratta soprattutto, o meglio tutto parte dal corpo: l’essere nel mondo, il rapporto con l’altro, la relazione con se stessi. Sta nel corpo uno dei nuclei narrativi di Unorthodox, la miniserie Netflix di Anna Winger e di Alexa Karolinski, ispirata all’autobiografia di Deborah Feldman. I quattro episodi raccontano di Esty, una diciottenne che vive nel quartiere di Williamsburg a Brooklyn e fa parte degli ebrei ultraortodossi (i chassidi). Inevitabilmente il discorso sul corpo tocca anche un altro campo, quello della sessualità: un corpo è guardato e guarda, desidera ed è desiderato, vuole ed è voluto. Esty è privata di tutto questo e vive in una sorta di grado zero, fa ciò che le è stato imposto come se per lei non ci fossero altre possibilità ma poi si sveglia dal torpore e abbandona il tetto coniugale per fuggire alla volta di Berlino e rifarsi una vita.
Unorthodox: con il corpo Esty capisce e “vive”
La protagonista vive in un piccolo mondo fermo a molti anni prima, in un universo in cui ci sono solo proibizioni e molti riti da seguire – riti che da una parte appaiono inquietanti dall’altra quasi “comici” -, nel quale lo smartphone è un alieno da temere, in cui alle donne non è consentito leggere la Torah – privilegio riservato solo agli uomini -, cantare, portare i capelli lunghi, lavorare fuori casa, addirittura avere un vita sessuale appagante.
Le donne, secondo una legge umana – in questo caso nel senso di maschile – e divina – la religione inevitabilmente centra con i vincoli costruiti intorno alla figura femminile, spesso messa in una prigione fintamente dorata che invece è “castrante” – esistono in quanto mogli di uomini che fino al giorno prima non conoscono ma soprattutto in quanto ventri che portano figli pretesi ma non voluti.
Inevitabilmente nell’evoluzione e nella rinascita di Esty tutto parte dal corpo che è un territorio sessuale e sociale, un corpo posseduto dagli uomini che decidono cosa deve fare, dove deve andare, che le impediscono di desiderare – e paradossalmente anche di essere desiderata perché il sesso è pensato solo per fine procreativo e nulla più –, è messo sotto scacco dalla comunità e dalla società; nell’esistenza di Esty c’è un prima e un dopo che si manifesta sul/nel corpo: prima coperto, schiavo, falsamente protetto, poi libero, desiderante e desiderato, pronto a conoscere e a conoscersi.
Unorthodox: un corpo/incubatrice e il sesso unicamente come mezzo di procreazione
La sua vita – si legga quella di tutte le donne – è protesa ad un momento preciso, il matrimonio, come se prima non esistessero, fossero sospese nell’attesa della propria realizzazione – in funzione di un altro. Il giorno in cui sposa Yanky dovrebbe essere per lei l’inizio di tutto o almeno così le hanno detto, insegnato, ma così non è, anzi; proprio a quel punto capisce ogni cosa: deve andare via.
Esty e le altre non vivono al di là dei loro uomini, padri, mariti, figli; sono corpi che si muovono da maschio a maschio e che vivono privati di qualunque libertà, essere, esistere, vivere e amare – in senso lato anche dal punto di vista sessuale. La protagonista viene data a Yanky che la accoglie con gentilezza – anche lui intrappolato nel fondamentalismo – e con amore quasi. Nessuno dei due è preparato ad essere sposato o almeno lo sono sulla carta per gli insegnamenti impartiti ma non nella realtà. La serie è immersa in un’atmosfera ansiogena, quasi lugubre come se quella in cui Esty è immersa fosse una prigione da cui è impossibile fuggire, una spada di Damocle che pende sulla sua testa. La sua testa rasata, i suoi abiti larghi per nascondere qualunque forma sono espressione di una società che non ama le proprie donne ma le costringe sotto panni neutri che tolgono loro ogni carica sessuale.
Una stanza minimale e squallida, una tristezza che pesa addosso: è questa l’istantanea della vita matrimoniale che viene consegnata allo spettatore. Lui e lei si trovano l’uno di fronte all’altra a condividere una stanza – non un letto – e a passare la prima notte insieme senza sapere nulla del corpo e quindi del sesso. Unorthodox racconta senza tirarsi indietro mai, porta chi guarda nel talamo, un luogo depotenziato, desessualizzato.
Esty scopre come è fatta solo poco prima di diventare una moglie come se il suo apparato genitale fosse un apparato inutile, “spurio” – nel senso anatomico – rispetto a tutto il resto e al maschio. Quando aveva iniziato il suo apprendistato muliebre la giovane si era guardata allo specchio e aveva scoperto i suoi genitali restandone stupita e sbalordita – se non si conosce se stessi come si può conoscere gli altri. Lei non può provare piacere perché il sesso non è appagamento ma è semplice procreazione per la sua religione: l’atto sessuale è stato insegnato attraverso una lezione di fisica elementare, è una ginnastica per anime svuotate da una religione e da una società che imprigiona e svilisce le sue donne.
Lei così piccola e fragile è ostaggio del marito, della famiglia d’origine e non, della comunità: terreno di possedimento maschile, di una società che vuole, pretende e ordina; e così quando Esty e Yanky non riescono ad avere un rapporto sessuale, è lei ad essere punita con una continua richiesta di fare il suo dovere e di rimanere incinta. La donna inizia così a sentirsi in colpa – parola fondamentale nella storia del femminile -, a metà, guasta perché la fanno sentire tale, svilita sotto ogni punto di vista in quanto donna, femmina e persona. Piange Esty quando viene depredata della sua intimità, della vita di coppia: la suocera continua a violare le mura della loro casa ponendole domande, interrogandola, umiliandola, e per lei diventa quasi uno “stupro” di gruppo perché viene “ispezionata” in quel luogo che dovrebbe essere suo e invece diventa cosa pubblica.La sua “insegnante di matrimonio e di sesso” senza spiegarle, senza rincuorarla, capirla, farla sentire meno sola le dice che probabilmente la sua “incapacità” ad avere un rapporto sessuale è determinata dallo stress, e dà a questo un nome: vaginismo.
Si fa strada in lei un sentimento: il sentirsi inadeguata, non all’altezza. Il primo rapporto sessuale per lei è solo la fine di un incubo – e un incubo esso stesso -, una dolorosa violenza per chiudere quella catena di umiliazioni e fare ciò che deve, mentre per il marito che non capisce nulla di ciò che gli accade intorno è la cosa più bella che gli sia mai capitata.
Unorthodox: a Berlino inizia la rinascita
La miniserie è una storia di abbrutimento ma anche di una rinascita, di svilimento e di emancipazione e il mutamento avviene nel momento in cui arriva a Berlino; anzi primo atto di libertà è quando abbandona la parrucca nell’acqua e mostra a tutti i suoi capelli. Lì, a quel punto il suo corpo si libera, i vestiti informi lasciano il posto ai jeans che le fanno scoprire di essere una donna e non un’incubatrice senza un senso in assenza di marito o di figli.
A Berlino con nuovi amici inizia una rinascita che prima di tutto avviene esteriormente e poi interiormente. Si scopre veramente una donna, con i propri sogni – fino ad ora messi da parte -, le proprie necessità e i propri desideri. Nel gruppo di “colleghi” musicisti c’è un ragazzo che non le è stato imposto ma che la capisce, la guarda non come un pezzo di carne necessario per allargare la famiglia ma come una donna.
Inevitabilmente la sua trasformazione e maturazione passa attraverso la sessualità; Robert risveglia in lei i piaceri della carne, mai conosciuti e provati, le fa capire che il corpo non è una prigione e che il sesso non è il Male e ciò che Esty sente non la intimidisce e non la spaventa ma è qualcosa che la riempe e la riscalda. Come tutte le giovani donne va con gli amici in un locale, balla e beve, cose per lei nuove, si mette il rossetto e torna a casa con quel ragazzo che con lei è stato sempre gentile, amorevole, protettivo.
Quella notte a differenze delle infinite notti con il marito si lascia andare completamente, trasportare dal desiderio e dall’altro; il suo corpo non è più una fortezza inespugnabile, risponde con gli sguardi agli sguardi, ai tocchi con i tocchi, ai baci con i baci. Non si tratta più di una ginnastica pura e semplice, di un rapporto per procreare ma nato dall’alchimia, dall’attrazione e dal piacere. Per lei inizia una nuova vita anche e soprattutto per quella notte e per la sessualità ritrovata. Mentre con il marito è stato un esercizio ginnico, privo di passione, di poesia e di amore, con Robert è tutt’altra cosa. Se nel primo caso Yanky ha preteso, chiesto e chiesto ancora, Robert è lì, non pretende ma partecipa alla loro relazione e al desiderio reciproco.
Unorthodox: l’emancipazione passata attraverso il corpo e il sesso
Unorthodox porta sul piccolo schermo una storia vera di emancipazione e di libertà e inevitabilmente come spesso accade nel racconto del femminile nasce anche da un nuovo rapporto con se stesse che passa attraverso il corpo. Esty vive ciò che hanno vissuto molte donne in Europa durante le lotte femministe: il sesso apre le porte per comprendere ciò che di nascosto e di profondo c’è in lei e diventa anche atto politico. Dopo quella notte lei sa che non può tornare da dove è partita, da quell’uomo che non ha mai amato e che non amerà mai, da una famiglia che l’ha allontanata, poco protetta, da una comunità che le ha insegnato a sopprimere i propri istinti, mortificandola, che le ha detto che a letto l’uomo è il Re e lei non è niente, è un mero accessorio di poco conto.
Il corpo e la sessualità sono elementi fondamentali nella sua storia e senza un’evoluzione di entrambi Esty non avrebbe intrapreso quel viaggio dentro e fuori di sé e dal mondo.