Strappare lungo i bordi: le frasi più belle di Zerocalcare
Quali sono le frasi più belle di Strappare lungo i bordi, la serie di Zerocalcare? Da quelle dell'Armadillo alla teoria del filo d'erba.
Strappare lungo i bordi ha fatto il suo debutto su Netflix lo scorso 17 novembre e, se alcuni hanno storto il naso, e non solo per la tanto discussa pervasività del romanesco, per altri è stato causa di una vera e propria tempesta emotiva da eccesso di rispecchiamento: nelle titubanze di Zerocalcare molti si sono riconosciuti fino a ‘spaventarsi’ di ciò che sono sempre stati, senza essersi mai visti.
Tra leggerezza canzonatoria e malinconia struggente, la serie animata scritta e diretta da Michele Rech continua non solo a far parlare di sé ma anche a parlare attraverso le frasi più incisive pronunciate dai suoi protagonisti. Ripassiamo le più significative, divenute, giorno dopo giorno, veri e propri tormentoni.
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Strappare (o no?) lungo i bordi
E allora noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così, che bastava strappare lungo i bordi, piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo diciassette anni e tutto il tempo del mondo. (ZEROCALCARE)
Strappare lungo i bordi è un’espressione utilizzata da Zerocalcare per tradurre metaforicamente ciò che si aspettava sarebbe stata la sua esistenza: una linea tratteggiata da strappare man mano mentre il destino gli si rivelava in un disegno ordinato e compiuto di senso. Complice la tragica fine di Alice, scoprire che non c’è alcun ordito da seguire è il brusco risveglio sperimentato da Zerocalcare in questo suo dolceamaro romanzo di formazione.
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“Invece sotto l’occhi c’abbiamo solo ‘ste cartacce senza senso, che so’ proprio distanti dalla forma che avevamo pensato. Io non lo so se questa è ancora ‘na battaglia oppure se ormai è annata così, che avemo scoperto che se campa pure co ste forme frastagliate, accettando che non ce faranno mai giocà nella squadra di quelli ordinati e pacificati. Però se potemo comunque strigne intorno al fuoco e ricordasse che tutti i pezzi de carta so boni per scaldasse. E certe volte quel fuoco te basta, e altre volte no.”
Un filo d’erba in un prato: la miglior frase di Zerocalcare in Strappare lungo i bordi
Ma non ti rendi conto di quant’è bello? Che non ti porti il peso del mondo sulle spalle, che sei soltanto un filo d’erba in un prato? Non ti senti più leggero? (Sarah)
Le persone so complesse: hanno lati che non conosci, hanno comportamenti mossi da ragioni intime e insondabili dall’esterno. Noi vediamo solo un pezzetto piccolissimo di quello che c’hanno dentro e fuori. E da soli non spostiamo quasi niente. Siamo fili d’erba, ti ricordi? (Sarah)
Sarah, la migliore amica di Zero fin dall’infanzia, ricorre al filo d’erba per tradurre in immagine concreta l’insignificanza propria della condizione umana. Un’insignificanza salvifica che libera Zerocalcare dall’inconscia persuasione di essere onnipotente e di poter determinare, con le sue azioni virtuose (o no), il benessere (e il malessere) altrui.
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Schivare la vita
L’Armadillo è la coscienza di Zero: severo (ma giusto), lo inchioda alle sue responsabilità, facendogli notare fino a che punto non sia vittima di una cospirazione cosmica, ma artefice del proprio male.
“Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene” (L’Armadillo)
“Sei cintura nera de come se schiva la vita” (L’Armadillo)
La cicatrice e il trasferello
Per me non è importante che tu ci sia sempre, ma devo sapere che quando tu sei con me, ci sei davvero, lo capisci? (Alice)
Bambino: “Alice, ma la cicatrice poi passa?” Alice: “La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via (…)” Bambino: “Ma perché non passa?” Alice: “Perché è una cicatrice. Se andava via con l’acqua era un trasferello. È una cosa che fa paura, ma è anche una cosa bella, è la vita”.
Alice, la Camille dei fumetti, rappresenta il grande incompiuto nella vita di Zero, l’amore mai vissuto e, infine, rimpianto. La poesia della perdita, la desolazione compressa, dolente, del what if. La voce metallica e facile all’incrinatura tradisce la sensibilità di una giovane donna che se ne va incerta per il mondo, confidando di trovare uno spazio che alla fine le viene negato (e un po’ si nega).
Il gelato del Secco (omaggio a Caligari)
Annamo a pijà un gelato?
La frase divenuta più virale dell’intera serie è quella del Secco, uno dei due migliori amici (l’altra è Sarah) di Zero. “Annamo a pijà un gelato?” esprime, nella sua disarmante e un po’ sfacciata leggerezza, uno stile di vita improntato al disimpegno e all’indifferenza: via di fuga, attraverso la ‘distrazione infantile’ del gelato, dalla frustrazione e dal senso di sconfitta che dominano la sua esistenza alienata di pokerista virtuale.
Si tratta, e forse non tutti l’hanno notato di primo acchito, di un omaggio ad una battuta cult di Amore tossico di Claudio Caligari – “Dovemo svortà e te piji il gelato?” – pronunciata da Enzetto e simbolo del radicale rifiuto di prendere sul serio la vita, a maggior ragione quando mette più a dura prova.