8 e mezzo: da Latin Lover a Ota Benga
Ricordo il cinema italiano. Quello della commedia di De Sica, del western di Sergio Leone, del realismo di Francesco Rosi. Oggi nasce 8 e mezzo. Un appuntamento settimanale. Una rubrica tutta italiana, rivolta non solo ai nostalgici ma anche al nuovo cinema. Al cinema italiano che, se pur con diverse crepe, c’è, esiste e resiste.
Iniziamo con una piccola rassegna di film usciti in sala il 19 marzo per poi concludere con alcune curiosità. Primo tra tutti Latin Lover di Cristina Comencini. Film dedicato a Virna Lisi per la sua ultima comparsa sul grande schermo. “Il film è un racconto su come pian piano le donne si liberano dalla figura dell’uomo – commenta la regista – ma allo stesso tempo ne riconoscono la grandezza nel cinema”. Per il decennale della scomparsa di Saverio Crispo, interpretato da Francesco Scianna, le sue donne si riuniscono per ricordarlo. Cinque figli con cinque donne diverse. Un vero rubacuori. Le sue donne stando insieme ne scoprono fragilità, ambivalenza e complessità. Aspetti oscurati dall’idea di “mito”. Latin Lover non è solo un racconto di donne. È la storia di un’epoca. Virna Lisi non è riuscita a vedere il film completato e viene da chiedersi: cosa avrebbe pensato? C’è una scena in cui il suo personaggio è ubriaco, leggero e in piena libertà. Virna Lisi avrebbe apprezzato proprio questo: il senso di libertà che ha saputo regalate al grande pubblico.
Dall’elegante racconto di un’epoca della Comencini a La solita commedia – Inferno di Biggio e Mandelli. Dante Alighieri viene catapultato sulla superficie terrestre. Un Virgilio contemporaneo gli fa da guida in una giornata infernale. Solo ventiquattro ore di tempo per appuntare i nuovi peccati e stabilire i nuovi gironi dell’Inferno. Dal bar alle otto di mattina all’ora di punta del traffico. Dagli hacker informatici ai tecno-maniaci. Una moderna commedia dantesca caratterizzata dagli sketch de I soliti idioti. Poche risate!
Dal comico al drammatico. È la volta di Vergine Giurata, opera prima di Laura Bispuri. Film tratto dall’omonimo romanzo di Elvira Dones, unico italiano in Concorso alla Berlinale. È la storia di un’anima debole imprigionata in un corpo che non sente suo. Non per sua volontà ma per quella degli altri. Hana, che nel corso del film diventa Mark, vive in Albania dove ancora oggi esiste la pratica del Kanun. Una legge distorta, che promette alle donne di avere gli stessi diritti degli uomini solo dietro giuramento: restare vergini per tutta la vita e non innamorarsi mai. Nei panni della protagonista una magnifica e sempre impeccabile Alba Rohrwacher.
Fino a qui tutto bene. No, non è una mia opinione. È il titolo del nuovo film di Roan Johnson che ha vinto il Premio del Pubblico alla passata edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. L’opinione del pubblico è sovrana, assolutamente. Ma non sempre mi trova d’accordo. È la storia di una fine e di un nuovo inizio. Cinque ragazzi fuori sede che finiti gli studi universitari devono tornare a casa. Lasciare il tetto che per tanti anni li ha uniti, fatti diventare complici, litigare e poi fare pace, non è semplice. Da qui una serie di bizzarri esempi di vita universitaria al limite del normale e del reale. Bella idea, buona regia. Se non fosse per il buco gigantesco della sceneggiatura. Fortuna che ci sta Paolo Cioni.
Apro una piccola parentesi. In sala anche La prima volta di mia figlia di Riccardo Rossi e N-capace di Eleonora Danco. Il primo racconta le paure e le ansie dei genitori. L’amore smisurato per i figli, delle volte troppo possessivo-ossessivo. Una commedia borghese che come novità ha solo l’esordio alla regia. Il secondo è un film di classe e stile. È stato premiato al Torino Film Festival, lasciando la critica positivamente colpita. “Un ritratto lirico e penetrante dell’Italia di oggi”, ha commentato la giuria nel conferirle la menzione speciale. Mai commento è stato tanto azzeccato! Adolescenti e anziani, persone normali e lontane dal mondo spettacolo. Raccontate e ritratte alla Bunuel.
Concludo con due curiosità della settimana. Mentre le strade di Roma sono bloccate e i giornalisti sono alla continua e disperata ricerca di 007, nel quartiere Quadraro sono state ultimate le riprese di Viaggio con la sposa, nuovo film diretto da Ascanio Celestini. Il film è ambientato nella periferia romana tanto cara a Pasolini. Protagonista una biondissima e bellissima sposa svedese. Nessun riferimento è puramente casuale, si sa! Mentre Hollywood invade la capitale, Celestini rende omaggio al passato del cinema italiano con un chiara citazione all’Anita Ekberg felliniana. Il film è prodotto in buona parte dai fratelli Dardenne e con molta probabilità sarà pronto per il Festival du Film di Cannes o per la Mostra del Cinema di Venezia.
Restiamo in tema festivaliero. Giovedì sera nell’Auditorium del Maxxi è stato presentato il libro Ota Benga di Antonio Monda. Giornalista e critico cinematografico stimato a livello internazionale. Italiano ma americano per adozione, è stato da poco nominato Direttore artistico del Festiva Internazionale del Film di Roma. Per il momento niente cinema ma tanta scrittura. Una lettura consigliata che narra la storia di Ota Benga, un uomo congolese vissuto nella prima metà del ‘900. L’ultimo schiavo nero. Nel 1906 Ota Benga viene esposto nella gabbia delle scimmie dello Zoo del Bronx. Una tragica vicenda, al limite della cattiveria, per dimostrare la veridicità delle teorie di Darwin. Antonio Monda utilizza una storia vera per raccontare la New York di inizio secolo e il razzismo. Benvenuto Direttore. A quando la data del Festival?