American Pie – un’attrice del film in carcere al confine col Messico: i dettagli della disavventura da incubo
Un visto scaduto. Dodici giorni d’inferno. Nessuna accusa.
Una storia da film, ma senza risate. Jasmine Mooney, attrice canadese nota per aver recitato in American Pie, ha vissuto un vero e proprio incubo al confine tra Messico e Stati Uniti. Bloccata per 12 giorni dalle autorità dell’immigrazione, la Mooney si è trovata in una situazione al limite dell’assurdo: tutto per colpa di un visto di lavoro scaduto e della politica sempre più rigida sull’immigrazione.
Un arresto surreale e condizioni inumane per Jasmine Mooney di American Pie

Le disavventure sono cominciate il 3 marzo, quando l’attrice è stata fermata al valico di frontiera di San Ysidro, tra San Diego e il Messico. Stava cercando di sistemare la sua richiesta di un nuovo visto di lavoro dopo che il precedente era stato revocato a novembre, ma invece di ricevere istruzioni su come risolvere la situazione, è stata arrestata senza accuse formali dagli agenti della US Customs and Border Protection.
Da quel momento, la sua esperienza è diventata un vero inferno. Chiusa in una cella senza coperte né cuscini, le è toccato dormire su una stuoia con solo un foglio di alluminio avvolto attorno al corpo, come ha raccontato lei stessa a una TV di San Diego.
Ma il peggio è arrivato dopo tre notti. Ammanettata e incatenata, il volto di American Pie è stata trasferita nel centro di detenzione di San Luis, in Arizona, insieme ad altre 30 persone. Lì è rimasta senza luce naturale, con lampade fluorescenti sempre accese, senza tappetino né coperte e con servizi igienici ridotti al minimo.

A denunciare il trattamento subito è stata anche sua madre, Alexis Eagles, che ha raccontato il calvario della figlia. Secondo lei, Jasmine sarebbe stata da rimandare in Canada o, al massimo, ricevere indicazioni su come completare la sua domanda. Invece, ha vissuto 12 giorni da incubo, trattata come una criminale.
Solo nel weekend l’attrice di American Pie è stata finalmente rilasciata e ha potuto tornare a Vancouver. Ma la sua esperienza solleva interrogativi inquietanti su come vengano trattate le persone fermate alla frontiera, anche in assenza di reati veri e propri.
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