Cannes 2017 – chi vincerà la Palma d’Oro? Pagelle e pronostici dell’edizione 70 del Festival
Una domanda alla quale, per dare una risposta, bisogna tenere in considerazione molti elementi. Vediamo come potrebbe essere composto il Palmarès di Cannes 2017 e quali sono i nostri film migliori e peggiori.
Cannes 2017 ha costituito la 70esima edizione del Festival Internazionale francese, che ha presentato in concorso opere molto differenti tra loro ma con un minimo comune denominatore: far parte del cinema d’autore. Sì perché la kermesse cinematografica più celebre al mondo ha voluto festeggiare quest’importante anniversario ribadendo la natura della sua competizione che – pur con numerose incursioni main stream, nel corso degli anni, resta profondamente radicata ad un ideale di cinema che ha a che fare con la nicchia (oltre che con parecchia Francia).
Il risultato è stata una lineup che ha sorpreso molti, priva di titoli altisonanti o attese uscite cinematografiche (fatta eccezione per il film di Sofia Coppola o i due prodotti Netflix), che tuttavia ha riservato molte piacevoli sorprese e qualche delusione. Vediamo di seguito quali sono le nostre eccellenze e le rovinose cadute di questo Cannes 2017. In attesa che la Palma d’Oro ci riveli le scelte della giuria.
Cannes 2017- in attesa della Palma d’Oro ecco i nostri migliori e peggiori della settantesima edizione del Festival
Comiciamo dalla parte alta della nostra classifica, in cui svettano film molto eterogenei per genere e stile ma tutti accomunati da una grande qualità della messa in scena.
Loveless (Nelyubov), di Andrey Zvyagintsev
Loveless è un film dalla forza comunicativa rara che, nel raccontare una vicenda familiare fatta di superficialità, egoismo ed assenza di cura e amore, si espande ad inquadrare un sistema sociale (quello della Russia odierna) in cui la progressiva privazione della possibilità di scelta può creare vere e proprie mostruosità umane, nate dalla forzata aderenza a regole e costrutti ai quali non si sente di appartenere. Un’opera dolorosa e incantevole, coronata da un’ottima attrice protagonista (Maryana Spivak) e da una regia profondamente ferma e matura, giocata come in Leviathan sullo stretto contatto fra ambienti esterni ed interni e sentimenti narrati. La nostra Palma d’Oro.
In The Fade (Aus Dem Nichts), di Fatih Akin
A dispetto della generalmente fredda accoglienza da parte della critica, dovuta in parte forse ad un finale che non è stato decifrato attraverso la giusta chiave di lettura, In The Fade è a nostro avviso una delle grandi opere di Cannes 2017. Sì perché la regia di Fatih Akin riesce a controllare l’attenzione e l’emotività dello spettatore per tutta la durata di un film che parla delle cause ed effetti della disperazione, intesa nella sua accezione più pura della fine di ogni possibile appiglio alla speranza.
Una sensazione che disumanizza, privando la vita del suo senso stesso di esistere e che colpisce una straordinaria Diane Kruger (in odore – se non certezza – di Premio per la Miglior Interpretazione Femminile), alle prese con una vana ricerca di giustizia dopo aver perso marito e figlio in un attacco terroristico di matrice neo-nazista. Una pellicola diretta e risoluta, disseminata di simbologie e suggerimenti sottili che – se colti – accompagnano lo spettatore verso un finale che chiude amaramente un cerchio che non aveva altre possibilità di essere completato.
Good Time, di Bennie e Josh Safdie
I fratelli Safdie confezionano un film dal genere cinematografico indefinito, a cavallo tra thriller psichedelico, road movie e commedia drammatica, in cui un eccezionale Robert Pattinson (il nostro favorito per il Premio alla Miglior Interpretazione Maschile) interpreta il fratello criminale ma premuroso di un ragazzo autistico (interpretato egregiamente da Benny Safdie), deciso a battersi con qualunque mezzo per proteggerlo e garantirgli il miglior futuro possibile.
Good Time è un film che sa essere esilarante e toccante allo stesso tempo, che ha il pregio (a onor del vero raro, in quest’edizione del Festival di Cannes) di chiudersi con un gran finale che libera una profonda riflessione sul team del destino dei “diversi”. Il nostro premio della giuria.
120 battements par minute, di Robin Campillo
Un’altra grande opera, che incanala la sua potenza espressiva insinuandosi nelle vicende quotidiane di un gruppo di attivisti che – all’alba della lotta contro l’AIDS – manifestano affinché le istituzioni si decidano ad affrontare il tema della prevenzione, snobbato per una sorta di resistenza e pregiudizio, che vedeva (e forse vede ancora oggi) questa malattia prerogativa delle fasce sociali più moralmente additate, ovvero omosessuali e tossicodipendenti.
120 battements par minute gode di una regia onesta ed accurata, che attraverso la bellissima e toccante storia d’amore tra Sean (l’altro candidato al Premio per l’Interpretazione Maschile Nahuel Pèrez Biscayart) e Nathan (Arnaud Valois), non solo fa finalmente luce sulla concreta possibilità di una relazione tra sierodiscordanti, ma rappresenta nel dettaglio il calvario personale di un malato di AIDS. Il nostro Grand Prix.
Radiance (Hikari), di Naomi Kawase
Naomi Kawase mette in scena un dramma delicato ed etereo sul tema della possibilità di compensarsi attraverso quella forma di amore che non invade ma sostiene, che in Radiance vede la bellissima Misako (Ayame Misaki), una scrittrice di film per non vedenti, imparare gradualmente a raccontare senza suggerire, lasciando che Nakamori (Masatoshi Nagase) un fotografo affetto da una progressiva cecità, possa continuare a costruire il suo mondo senza il sostegno della vista. Un’opera che è insieme grande storia d’amore e omaggio all’arte cinematografica, rappresentata come una forma di speranza in grado di portare il luoghi fisici e mentali altrimenti irraggiungibili. La nostra miglior sceneggiatura.
Cannes 2017 – I peggiori film in concorso
Senza voler rigirare il dito nella piaga, riassumiamo brevemente quali sono i film che abbiamo meno apprezzato: su tutti spicca Rodin, di Jacques Doillon, inutile e faticoso biopic sulla vita del celebre pittore e scultore, purtroppo molto meno interessante delle sue opere (almeno a giudicare dal modo in cui è stata narrata). È poi il turno di Jupiter’s Moon di Kornél Mundruczo, sconclusionato dramma sovrannaturale che vede un giovane immigrato acquisire il potere di elevarsi dopo essere stato colpito da un colpo d’arma da fuoco nel tentativo di raggiungere l’Europa.
E quindi? Suggestioni registiche raffinate per un film che sembra non sapere dove andare a parare (o non se ne preoccupa). Concludiamo il libro nero con un insolito pari merito che ha però in comune lo strafare: si tratta di L’amant Double, di François Ozon e The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos, due opere in cui l’esibizionismo registico è notevolmente sfuggito di mano rendendo tali pellicole piuttosto indigeste. Peccato.
Cannes 2017 – Chi vincerà la Palma d’Oro?
Dopo questo escursus fra i film che abbiamo amato di più e apprezzato di meno, concludiamo con un pronostico che tenga conto dell’andamento di Cannes, un Festival in cui il premio spesso rispecchia considerazioni tecnico-qualitative che prescindono dal potenziale di intrattenimento del film.
Palma d’Oro: Loveless (Palma del cuore)/ a Gentle Creature (Palma possibile): il film di Sergei Loznitsa, per quanto complesso, ha tutte le carte in regola per ambire al premio principale: regia accurata ed originale, tematica sociale importante, ottima attrice protagonista. Un primo premio in cui non speriamo ma che – realisticamente – potrebbe essere assegnato.
Grand Prix della Giuria: 120 battements par minute (Premio del cuore)/ Happy End (Premio possibile): non certo il miglior Michael Haneke, qui decisamente ridondante nelle tematiche pessimistiche, con la solo differenza di allargarle alle nuove generazioni. Un premio però più che probabile, soprattutto come tributo ad un grande regista giunto agli sgoccioli della sua carriera.
Premio della Giuria: Good Time (Premio del cuore)/ The Beguiled (Premio possibile): un premio che il film dei fratelli Safdie meriterebbe senz’altro, per il modo originale ed avvincente, volutamente divagante, in cui ha trattato una tematica delicata ed importante, ma che potrebbe andare anche al film di Sofia Coppola, per lo stile accattivante in cui il suo “women revenge” movie rende la diabolica tensione erotica fra le protagoniste e la preda maschile.
Miglior Sceneggiatura: Radiance (Premio del cuore)/ The Day After (Premio Probabile): l’insolito mini-dramma in bianco e nero di Hong-Sang-soo potrebbe conquistare questo premio, per l’efficace minimalismo con il quale mette in scena una divertente storia amorosa di equivoci e scarsa lealtà, sullo sfondo di come la verità spesso sia un bisogno da assecondare.
Miglior Regia: The Killing of a Sacred Deer/The Square: due opere molto differenti ma che hanno in comune una grande qualità registica, tale da rendere valorizzabile sia il fastidioso thriller psicologico di Yorgos Lanthimos, sia l’intelligente ma inconcludente opera di Ruben Östlund. Noi parteggiamo per il secondo.
Miglior Interpretazione Femminile: un premio quasi certo per Diane Kruger, intensa e perfettamente equilibrata in In The Fade ma che, a seconda dell’andamento dei premi, potrebbe andare anche alla glaciale e bravissima Maryana Spivak di Loveless.
Miglior Interpretazione Maschile: qui a contenderselo sono in tre: il nostro favorito Robert Pattinson, protagonista di Good Time, Nahuel Pèrez Biscayart di 120 battements par minute e Joaquin Phoenix che nell’interessante ma confusionario You Were Never Really Here ha davvero dato il meglio di sé, nei panni di un sicario introverso, dal passato drammatico. Un Premio in ogni caso meritato, ad onore di interpretazioni davvero eccezionali.