Cannes 2017 – Jupiter’s Moon: recensione del film di Kornél Mundruczò
Con Jupiter's Moon, Kornél Mundruczò torna in concorso a Cannes 2017 dopo la vittoria del suo potentissimo White God nel 2014, nella sezione Un Certain Regard. Ma questa volta l' idea di partenza implode su se stessa.
Avere una buona idea non significa necessariamente riuscire a mettere in pratica. È la prima cosa che viene istintivamente da pensare al termine della visione di Jupiter’s Moon, l’ultimo lavoro di Kornél Mundruczò, vincitore con il suo White God – Sinfonia per Hagen nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2014. Il cineasta ungherese torna sul red carpet questa volta in un ruolo piuttosto pretenzioso per la natura del suo film, In Concorso nella Selezione Ufficiale della kermesse.
Un’opera dalle premesse interessanti, ma che pecca fin dalle prime sequenze di una disomogeneità che ha come risultato finale la sensazione che il regista non abbia tarato perfettamente la bussola, vagando per circa due ore tra costrutti simbolici ed evoluzioni dei protagonisti non sufficientemente tratteggiate ed approfondite.
Jupiter’s Moon racconta la storia di Aryaan (Zsombor Jéger) un giovane immigrato siriano che – durante un blitz della polizia di frontiera ungherese – viene diviso dal padre e colpito da numerosi colpi di arma da fuoco. Quando si riprende, miracolosamente in buone condizioni, scopre di aver acquisito un dono sovrannaturale: riuscire ad elevarsi da terra, librando nell’aria. Giunto in un campo di accoglienza per rifugiati, incontra il Dott. Stern, un medico dalla morale non troppo ferrea e dal passato oscuro, che sfrutta prontamente il potere di Aryaan con la promessa di voler raccogliere denaro sufficiente per aiutarlo a cercare suo padre.
Jupiter’s Moon: premesse confusionarie per una pellicola che sembra non trovare un filo narrativo fluido e coerente
Jupiter’s Moon si apre con una premessa astronomica che giustifica il titolo: Giove, infatti, possiede ben 67 lune, una delle quali sembra nascondere – sotto una coltre superficiale ghiacciata – un bacino di acqua salata paragonabile al nostro mare. Tale Luna è stata denominata Europa e – se tale teoria fosse vera – la presenza dell’elemento primordiale, origine della vita, suggerirebbe l’inaspettata esistenza di un luogo – se non accogliente – almeno abitabile, ubicato molto lontano dalla Terra.
Una simbologia già di per sé forzata, che rimanda alla situazione degli immigrati, in fuga verso un Vecchio Continente con la speranza che, dietro la sua coltre di gelida ostilità, l’Europa celi una possibilità di accoglienza e nuovo futuro. Un domani spesso ostacolato dall’egoismo ed avidità degli europei, che tendono a vedere negli immigrati – alternativamente – un ostacolo al proprio benessere e dei deboli da sfruttare.
Aryaan sa volare, e ha quindi la possibilità di non essere trattato da clandestino qualunque. Il Dott. Stern lo capisce bene, e decide di sfruttare il divario tra la propria miscredenza ed il rapporto visionario del popolo con Dio per presentare il ragazzo come un angelo, pronto a fare miracoli a condizione di ricevere generose offerte libere per le sue prestazioni celesti.
Ma l’uomo dovrà accettare presto il fatto che nessuna colpa può essere espiata col denaro e che il cinismo spesso impedisce di attribuire il reale valore e significato a certi incontri indimenticabili.
Jupiter’s Moon: Kornél Mundruczò in un nuovo ritratto della corruttibilità umana e del rapporto fra classe dominante e subalterni
Il problema fondamentale della pellicola è l’apparente indecisione sul modo in cui comunicare un messaggio che dà l’impressione di essere ben chiaro nelle intenzioni mancate del regista. Jupiter’s Moon riprende parte dei temi di White God, soprattutto nel modo in cui ritrae il cinismo della classe dominante (i cittadini europei) nei confronti dei subalterni (in questo caso i migranti).
Ma mentre nel suo lavoro precedente Mundruczò ha giocato egregiamente la carta dell’originalità della messa in scena, dando vita ad un noir sul tema degli effetti dell’oppressione dei deboli, in cui il confine tra buoni e cattivi appariva gradualmente sempre più sfumato, in questo nuovo film lo spunto iniziale si perde tra le pieghe di una direzione narrativa alla quale mancano dei passaggi fondamentali per risultare comoda e compiuta. Il risultato è un tergiversare di oltre due ore sui temi della redenzione, della responsabilità e sul sottovalutato ruolo di messaggero di Aryaan, senza trovare una via d’uscita abbastanza valida da trasformare uno spunto potenzialmente fertile in un racconto valido.
Jupiter’s Moon resta così debole, nonostante l’ammirevole impatto visivo e le buone interpretazioni attoriali, rivelandosi a pelle più adatto a fare parte della sezione Un Certain Regard, rispetto al concorso principale.