TFF34 – Live Cargo: recensione del film di Logan Sandler con Dree Hemingway
Live Cargo è il lungometraggio di esordio di Logan Sandler, presentato nella sezione Festa Mobile della 34esima edizione del Torino Film Festival. Protagonista del film (o meglio, premessa) la perdita dolorosa di un figlio appena nato, che fa sì che una giovane coppia si trovi ad affrontare un dolore sordo e schiacciante, che sembra non offrire alcuna possibile via d’uscita.
Per cercare di distrarsi e ricominciare, i due ragazzi decidono di andare a trascorrere un periodo di vacanza in un’isola della Bahamas, dove la famiglia di Nadine (Dree Hemingway) possiede una casa ed una barca fin da quando era piccola e conosce quindi numerosi abitanti del luogo, fra i quali Roy (Robert Wisdom), anziano patriarca che governa l’isola e le vuole bene come ad una figlia.
Poco dopo il loro arrivo – mentre Nadine e Lewis cercano di fare il possibile per lasciarsi alle spalle il doloroso passato – comincia a venire alla luce un lato dell’isola torbido ed inquietante, fatto di traffici loschi e di una drammatica tratta di esseri umani in cui, inaspettatamente, i giovani sposi si ritroveranno coinvolti.
Live Cargo: il potere prorompente della vita sulla morte
Live Cargo è un film sommesso e complesso che decide di affidare alle immagini il suo intero potere comunicativo. Nadine e Lewis (Keith Stanfield) si trovano su un’isola paradisiaca, dipinta tuttavia in bianco e nero, a voler suggerire l’impossibilità dei protagonisti di scorgere una nuova ragione di vita in grado di colorare nuovamente le loro giornate dopo il terribile dramma che li ha colpiti.
Le inquadratura passano dallo stringersi soffocantemente sui volti ad aprirsi alla bellezza degli spazi sconfinati, mettendo in evidenza quel contrasto fra dentro e fuori alla base dell’incapacità della coppia di ricominciare, cedendo alla bellezza del luogo e della vita.
Un film che suggerisce nella morte una costante possibilità di rinascita, che non può tuttavia prescindere dalla decisone di aprirsi al mondo e a ciò che può ancora offrire dopo un grande dolore.
Nadine e Lewis si trovano circondati da persone amichevoli ed altre ambigue, pronte ad ostacolare la convalescenza emotiva dei protagonisti per via dei propri interessi personali; lo spietato trafficante di esseri umani Doughboy (Leonard Earl Hawze) e l’ingenuo ed insoddisfatto Myron (Sam Dillon) in primis, due personaggi che saranno tuttavia il mezzo che permetterà a Nadine e Lewis di sprofondare per poi riemergere più forti e più uniti, con una nuova ragione di vita da perseguire.
Live Cargo gode di una fotografia simbolica ed eloquente, decisa nell’indicare le intenzioni narrative di una regia che tuttavia appare eccessivamente autoreferenziale, non prevedendo una trama abbastanza solida da accompagnare il forte impatto visivo.
La storia di Nadine e Lewis resta così poco caratterizzata, indugiando sulle loro espressioni sommesse (e a tratti ripetitive) senza raccontare un’evoluzione in grado di conferire vera linfa al film.
Ciò che resta a tenere in piedi la pellicola è quindi prettamente lo strascico emotivo della premessa, sostituendo il racconto delle varie conseguenze del dramma con l’inserimento di nuovi filoni narrativi, non abbastanza solidi per condurre ad un finale percepito come omogeneo e compiuto.
Live Cargo è stato scritto da Thymaya Payne e Logan Sandler; nel cast anche Frantz Lecoeur. La fotografia è a cura di Daniella Nowitz e Peter Zuccarini.