FFF17 – The Girl Without Hands: recensione del film d’animazione di Sébastien Laudenbach
Una fanciulla alla quale vengono tagliate le mani, un diavolo che promette ricchezze e un padre che si lascia abbindolare dalla materialità. The Girl Without Hands è una storia di resistenza, di sopravvivenza e di valori.
The Girl Without Hands (La Jeune Fille sans mains) è un film d’animazione francese scritto e diretto da Sébastien Laudenbach, basato su una fiaba dei Fratelli Grimm. Dopo la presentazione a Cannes 2016 nella sezione ACID (Association du cinéma indépendant pour sa diffusion), The Girl Without Hands è stato inserito fra i film in concorso all’interno del Future Film Festival di Bologna.
The Girl Without Hands è una storia di resistenza, di sopravvivenza, legata alla natura e al suo valore salvifico.
Il desiderio di realizzare un’opera così intima e complessa, dal genio dei Fratelli Grimm, riesce sicuramente grazie a un disegno minimale e sintetico, in cui semplici schizzi di colore vanno a costituire la forma e le ombre di ogni personaggio, caratterizzandolo a seconda dell’umore, del percorso, del momento, attraverso linee e macchie più morbide e diluite a quelle più dure e disordinate.
La storia orbita attorno alla vita difficile di un mugnaio e della sua famiglia. Costretto dalla miseria, l’uomo vende la sua unica figlia al diavolo, ma essendo troppo pura per lui, il demonio ordina al padre di tagliarle le mani. La fanciulla, disperata e dolorante, scappa dalla casa del padre, affrontando tante difficoltà ma affiancata da una dea che l’aiuta nel suo cammino. Durante il suo viaggio incontra un principe e altri esseri gentili, ma la fanciulla non può fermarsi poiché il diavolo continuerà a ostacolarla, per prendersi ciò che gli era stato promesso in principio.
The Girl Without Hands è un’opera che gioca a sottrarre, in cui è centralissima la vita e le sensazioni di una donna in rinascita.
È un’opera la cui l’esteriorità è alleggerita dalla scelta di usare pochi colori, colori asciutti, sintetici, in cui è molto ben visibile la distanza tra bianco e nero, che è il crinale metaforico tra due i versanti antinomici, gli stessi che imperversano all’interno di quest’opera. Il diavolo e la Dea sono gli aspetti simbolici che divideranno quasi in modo speculare la pellicola, dal punto di vista sia narrativo che cromatico.
The Girl Without Hands cresce, si perde, combatte e matura come la fanciulla, una piccola eroina che ha dovuto sopportare ogni tipo di rifiuto, ogni esilio, ferita a tradimento da chi avrebbe dovuto unicamente tenerla a sé e farla sentire protetta e amata. Il film ha la particolarità di non essere sommerso dai colori, mentre la musica è protagonista delle scene, una colonna sonora straordinaria curata da Olivier Mellano. Non c’è isteria nel rappresentare le sensazioni, ma è tutto volto alla negazione, una sottrazione che parte dapprima dal padre, il mugnaio, che possiede un mulino che non macina. C’è molta povertà e manca alla vita semplice di questa famigliola anche quel poco per sopravvivere.
Il diavolo chiede al padre di rinunciare a qualcosa in cambio di oro (sporco), ma lui non sa che dovrà rimpiangere la vita della sua unica figlia per avere vili ricchezze.
Alla fanciulla vengono portate vie le mani, una mancanza che non è legata solo alla praticità, ma è un’assenza che riflette la sua personalità: la fanciulla viene identificata come la jeune fille sans mains, non ha un nome, è una caratteristica totalmente spersonalizzante. Ma nonostante ciò, rappresentando simbolicamente un’essere che non può possedere, che non afferra, incapace di curarsi di sé, riesce a prendere decisioni determinanti per la sua sopravvivenza, fuggendo sia dal padre che dal castello del principe, per il suo bene e quello di suo figlio.
Ogni figura all’interno della pellicola veicola un messaggio, un simbolo di crescita all’interno della vita della fanciulla, come la dea è una guida spirituale e il diavolo un predatore. Ma non sono solo i personaggi i punti di riferimento della storia, lo sono soprattutto gli elementi della natura, come gli alberi e i frutteti o il fiume la cui acqua in tutta la narrazione non viene bevuta o abusata. Il fiume è un contorno, un limite che la fanciulla attraversa quando è pronta e consapevole di ciò che dovrà fare ed essere.
Sarà una donna che potrà vivere da sola, che saprà badare a sé stessa e al suo bambino, una donna che apprende, conosce e ritrova una sua personalità, una sua completezza. Una donna che ha vissuto una vita di mancanze, di assenze e privazioni, che rivive attraverso le sue decisioni e le sue scelte.
The Girl Without Hands ci avvicina moltissimo dal punto di vista emotivo sia al travaglio e al percorso interiore di questa giovane donna, sia alle considerazioni, seppur velate, dell’artista che ne ha generato il disegno. Sébastien Laudenbach usa una tecnica che ricorda gli acquerelli per il tipo di pennellata, quasi un’opera impressionista in movimento, che consegna, attraverso le privazioni e la sintesi del colore, la forma al sentimento dell’artista e alla sua percezione personale.
La bellezza del minimale, del poco, è proprio il fulcro centrale di un’opera che ci porta direttamente sulla tavolozza dell’artista, che impiega cuore e anima per avvicinarci a ciò che prova, allontanandoci il più possibile da ciò che vede, asciugandoci la vista da bulimie ed eccessi. Come per gli impressionisti, che guardavano un paesaggio e lo eliminavano sulla tela, lasciando visibile l’unica cosa che vale la pena rappresentare. Lo scopo dell’arte risiede in questo.