LFFEC17 – Those who make Revolution halfway only dig their own graves: recensione
Those Who Make Revolution Halfway Only Dig Their Own Graves (Ceux qui font les révolutions à moitié n’ont fait que se creuser un tombeau) è una pellicola canadese diretta da Mathieu Denis e Simon Lavoie, in concorso nella sezione lungometraggi al Lucca Film Festival Europa Cinema 2017.
Those Who Make Revolution Halfway Only Dig Their Own Graves è interpretato da Charlotte Aubin, Laurent Bélanger, Emmanuelle Lussier Martinez e Gabrielle Tremblay, un film che orbita attorno a quattro ragazzi, ma che pone le basi sui movimenti studenteschi universitari che nel 2012 scioperarono per dichiararsi contrari alla crescita delle tasse universitarie, tasse stabilite dall’allora governo neoliberista del Quebec.
Lo sciopero e le riunioni universitarie nei comitati crea nella mente di alcuni studenti una propria coscienza critica, un proprio ideale. Ascoltandoli parlare si capisce che il mondo universitario è molto confuso. Alcuni credono che l’unico modo di poter avere una risposta dalle istituzioni è attraverso una rappresaglia guerrigliera, andando contro la passività e l’immobilismo di molti compagni, credendo che la lotta non violenta non potesse essere un vero strumento di reazione. In modo quasi impercettibile quattro ragazzi, capendo di non poter fare affidamento su niente e nessuno, si riuniscono in un gruppo separatista e sovversivo, vivendo in un appartamento che li scherma dal mondo, lontano da famiglia e odiando ogni briciolo di tessuto sociale e borghese, cercando di ideare mini atti di terrore che contribuissero alla loro causa.
Questi ragazzi vivono in Quebec e apprendono i loro ideali, la loro missione, e il vero potere della rivoluzione dagli scritti del passato, dalla Rivoluzione Francese. Questi si danno dei nomi simbolici che possano rappresentarli, ovvero Tumulto, Klas Batalo, Ordine Nuovo e Giustizia. Sono uniti nella lotta, nell’odio, ognuno con i propri sogni e le proprie speranze rigettate, si mettono a nudo, e sopravvivono ad una società tentando di cambiarla in modo funesto, distruttivo, che getti panico e da cui sperano essa si possa risollevare.
Those Who Make Revolution Halfway Only Dig Their Own Graves è una pellicola disturbante, che in tutta la sua estensione non riesce minimamente ad accorgersi del pubblico
Those Who Make Revolution Halfway Only Dig Their Own Graves è una pellicola paradossale, segmentata e determinata da picchi musicali quasi eccessivi. Le immagini cambiano formato in continuazione, le scene stesse sono dense di immagini di archivio, con interviste, riprese delle manifestazioni, e scene simboliste che danno al film una temporalità dispersiva.
Those Who Make Revolution Halfway Only Dig Their Own Graves è una pellicola disturbante, che in tutta la sua estensione non riesce minimamente ad accorgersi del pubblico, è un film egoriferito, che si incrementa sull’autodeterminazione e si espleta nell’io. L’egocentrismo dei protagonisti non è nemmeno caratterizzato volutamente, anzi si auto puniscono in un folle atto di je m’accuse se solo cominciano a realizzare di aver peccato di egoismo, di nostalgia, e di non servire la causa come dovrebbero.
Il punto alto della pellicola sono gli intermezzi citazionistici in cui vengono omaggiate le parole di Rosa Luxemburg, Camus, Sartre, con interventi visivi di una vecchia intervista a Jack Kerouac, ma anche di politici canadesi come Trudeau. Questi sono i veri momenti in cui la pellicola respira, un film fagocitato e nutrito dal ventesimo secolo che nulla ha insegnato alle nuove generazioni sulla reazione, sulla rivoluzione. Considerare propri i valori della rivoluzione francese, da cui il titolo, per poi posizionarli ad oggi e usufruirne tentando, per mezzo di azioni terroristiche e di quelle sommosse, di ricreare coscienza nei cittadini e cambiare una società, ma in cosa? In meglio? E se in meglio come?
Piccolo grande fardello della pellicola è proprio la difficoltà estrema di entrare in empatia con i protagonisti.
Possibile però che i registi abbiano creato quella realtà che parte dal 2012, dai movimenti studenteschi, mostrando la degenerazione e la sconfitta che hanno dovuto subire un gruppo di ragazzi che ha scelto di perseguire i propri ideali (quali sono?) e la propria lotta.
Ma qual è il cambiamento che mettono in atto quesi quattro privilegiati? Non sono altro che stucchevoli figli di una realtà piccolo borghese da cui hanno succhiato il latte finché ne hanno avuto la possibilità, per poi distanziarsene sputando addosso alle vetrine dei ristoranti che frequentavano fino al minuto prima.
Il pubblico assorbe ogni colore, ogni briciolo di terrore e di angoscia che attraversa la pellicola, ne è attratto ma se ne distanzia, i personaggi sono densi di repulsione verso tutto, non hanno uno schema, una regola, se non quella di mantenere integra la loro volontà di opporsi agli autoritarismi del loro paese. Ma anche del dispotismo se ne vede poco, qualche scena in tribunale, nella stazione di polizia, scene familiari, ma mai niente che possa far comprendere il modus operandi di questi personaggi, che operano in un mondo che non li ha mai totalmente rigettati, ma da cui scappano scegliendo di non lavorare, di non studiare, di non realizzarsi, solo per sopravvivere a loro stessi.