Venezia 79 – Ti mangio il cuore: recensione del film di Pippo Mezzapesa
Pippo Mezzapesa torna alla regia con il gangster movie liberamente tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini ambientato in un Gargano falcidiato dalle guerre tra famiglie mafiose. Presentato a Venezia79 nella sezione Orizzonti e nelle sale dal 22 settembre 2022
Tra un ciak e l’altro di Qui non è Hollywood, la serie targata Groelandia incentrata sul delitto di Avetrana, le cui riprese sono iniziate nel tarantino lo scorso 27 agosto 2022, Pippo Mezzapesa ha dovuto ritagliarsi del tempo per una trasferta lampo dalla Puglia al Lido di Venezia per presenziare all’anteprima mondiale del suo terzo lungometraggio nella sezione Orizzonti della 79esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica. Proiezione, questa, che anticiperà l’uscita nelle sale con 01 Distribution il 22 settembre 2022 di Ti mangio il cuore, il film che il regista bitontino ha liberamente tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, pubblicato da Feltrinelli nel maggio del 2019.
In Ti mangio il cuore un amore contrastato di shakespeariana memoria proverà a farsi largo in un’escalation di violenza incontrollata e sorretta da regole d’ingaggio arcaiche
Dopo Il paese delle spose infelici e Il bene mio, Mezzapesa ha dunque deciso di andare ad attingere da colori diversi della tavolozza dei generi rispetto a quelli utilizzati in precedenza, scegliendo le tinte fosche del crime e del gangster movie per portare sullo schermo una storia di amore, coraggio, vendetta e morte ambientata in un Gargano falcidiato dalle guerre decennali e feroci tra famiglie mafiose rivali. E nel mezzo di una sanguinaria faida tra i clan Malatesta e Camporeale prova a farsi luce dalla clandestinità la classica relazione proibita di un uomo e di una donna divisi dalle ostilità: da una parte Andrea, riluttante erede dei primi, e dall’altra Marilena, bellissima moglie del boss dei secondi. C’è spazio dunque in un’escalation di violenza incontrollata e sorretta da regole d’ingaggio arcaiche una fiammella di speranza acceso dall’ennesimo amore contrastato di shakespeariana memoria. Fiammella che dovrebbe alimentare la possibilità di una pace tra le fazioni, ma che contrariamente alle aspettative finisce con il gettare altra benzina sull’incendio.
In Ti mangio il cuore va in scena un duro e spietato giro di vite che non risparmia niente e nessuno, dove la linea di sangue che separa le vittime dai carnefici è sottile
Ovviamente rimandiamo alla visione della pellicola il compito di mostrare dinamiche, sviluppi ed epiloghi di una storia che narrativamente e drammaturgicamente presenta caratteristiche genetiche comuni al filone chiamato in causa, con personaggi e one-lines che risvegliano nella memoria dei suoi abituali frequentatori analogie e déjà-vu rispetto a situazioni e snodi del racconto. Ma fa tutto parte del gioco, di quelle coordinate, di quei temi e stilemi che sono parte integrante di una letteratura di genere che affonda le proprie radici in un tempo che precede l’alba della Settima Arte. Motivo per cui da una pellicola come Ti mangio il cuore non si può chiedere di certo originalità in tal senso, così come non si potevano e dovevano chiedere a progetti audiovisivi analoghi, con la timeline a disposizione di Mezzapesa che sulla spinta del libro dei due giornalisti si presenta come un duro e spietato giro di vite che non risparmia niente e nessuno, dove la linea che separa le vittime dai carnefici è sottile e segnata dal sangue.
Il bianco e nero con il quale si è scelto di dipingere la tela è un valore aggiunto per Ti mangio il cuore non un vezzo stilistico
Quello che si può chiedere a un film come questo sono piuttosto delle pennellate personali che riescano a dare qualcosa di diverso, o quantomeno capace di stimolare e assecondare il coinvolgimento di uno spettatore altrimenti scaraventato nell’ennesima mattanza cinematograficamente fine a se stessa. Il cineasta le trova in primis nella sua Puglia, andando su invito del romanzo e dei suoi autori a raccontare una vicenda tragica ambientata in una terra di prepotente bellezza come il Gargano, straziata e insanguinata da una mafia poco conosciuta e spietata. Una terra che Mezzapesa, con campi larghissimi e la complicità della fotografia in bianco e nero di Michele D’Attanasio, restituisce sotto forma di far west, tra distese aride di polvere e roccia, saline e le pietre dei borghi, quelli dove donne vestite di nero e dal volto coperto da veli accompagnano la processione della Madonna. In particolare il bianco e nero con il quale si è scelto di dipingere la tela è un valore aggiunto per Ti mangio il cuore non un vezzo stilistico. Con e attraverso di questo i corpi e i primi piani dei personaggi sembrano quasi scolpiti nella pietra, mentre il sangue che scorre su di loro colorandosi di nero diventa uno squarcio sulla tela che li raffigura.
Pippo Mezzapesa può contare su un cast davvero ben assortito, nel quale spicca tra gli altri l’esordiente Elodie nei panni di una femme fatale tanto bella quanto coraggiosa
Sta dunque nella confezione e nella forma il tocco personale del quale si parlava in precedenza, che consente a un film altrimenti ampiamente codificato e convenzionale nei contenuti di trovare una sua strada. Strada che si fa più interessante anche perché affrontata con un cast davvero ben assortito, nel quale spiccano tra gli altri l’esordiente Elodie nei panni di Marilena, oltre a Tommaso Ragno e Lidia Vitale in quelli dei coniugi Malatesta. Le loro performance davanti la macchina da presa, così come quelli di molti altri colleghi di set come Francesco Patanè, Michele Placido e Francesco Di Leva, hanno alzato l’asticella di un’opera che proprio nei diversi livelli d’intensità toccati dalle interpretazione ha trovato una spalla forte e sicura in più sulla quale potere contare.