Where is Kyra?: recensione del film con Michelle Pfeiffer

Fotografo e regista, Andrew Dosunmu si presenta al Festival Internazionale del cinema di Edimburgo con il suo quarto lavoro, Where is Kyra?, in cui una magnifica Michelle Pfeiffer è protagonista assoluta. Dosunmu acquista fama in America per aver diretto svariati video musicali di artisti di spicco per poi approdare al cinema con il suo primo film, Restless City (2011), in anteprima al Sundance Film Festival. Anche il suo secondo film, Mother of George, è stato presentato al Sundance Film Festival due anni più tardi.

Where is Kyra? ci offre un ricercato e realistico ritratto di alienazione e solitudine, in cui la perdita della madre innesca una spirale di errori da cui è impossibile uscire

Kyra (Michelle Pfeiffer) vive a Brooklyn con la madre ormai anziana di cui si prende cura premurosamente. Ha un divorzio alle spalle e sono due anni che cerca faticosamente un lavoro ma il non essere più giovane e la vita frenetica di New York non giocano a suo favore. Quando la madre muore, Kyra cade ancora di più in un vortice di alienazione e disperazione, acuito maggiormente dalla sua precaria situazione finanziaria. A portare, seppure per poco, un po’ di felicità nella sua vita sarà l’incontro con Doug (Kiefer Sutherland), un uomo ormai rassegnato alle sue modeste circostanze ma affettuoso e amabile. Saranno però gli errori passati di Kyra, tornati a tormentarla, a far precipitare tragicamente la situazione.

Un interno debolmente illuminato da una luce calda – un ossimoro ricercato considerando la venatura drammatica che scorre lungo tutto il film –, pesanti ombre che scolpiscono i volti, giochi di specchi che elegantemente ci mostrano piccole scene di vita quotidiana. Sono questi gli elementi con cui si apre Where is Kyra?, un film che fa dell’eleganza la sua bandiera. Attenzione maniacale è data ai gesti – anche i più insignificanti come l’inquadratura stretta sulle mani rugose della madre che ormai fatica persino a infilarsi da sola i calzettoni – gesti che, anche in assenza di parole, servono a tradurre sullo schermo l’intimità e l’affetto incondizionato che lega una figlia alla propria madre.

Where is Kyra? è una parabola di tragica bellezza che non scade mai nel sentimentalismo e ci consegna una storia pulsante di errori e ineluttabilità

Sono le ombre e il cielo plumbeo di Brooklyn a dominare le scene, creando una cappa talmente opprimente da potersi considerare trasposizione visiva dei tormenti interiori di Kyra, donna dilaniata dalla perdita della madre ma troppo orgogliosa per mostrarsi vulnerabile e cercare aiuto nell’altro. I lunghi e fissi primi piani che, persino durante i dialoghi, ingabbiano Kyra nell’inquadratura contribuiscono a creare quel senso di isolamento e solitudine che la avvolge come un manto, creando l’illusione che gli scambi di battute siano in realtà sofferti monologhi.

La perdita della madre, con il bagaglio emotivo che si porta dietro assieme alla conseguente perdita di un punto di riferimento rassicurante, è il punto di partenza di una lenta discesa verso l’auto-distruzione e la perdita di identità. Il lutto viene lentamente fagocitato per poi articolarsi in una ben studiata pantomima, dove il vestire i panni della madre per truffare lo stato viene liricamente elevato da una sequenza che ci mostra i lenti gesti della madre mentre si prepara per uscire con a seguire la replica perfetta a opera della figlia.

Where is Kyra? è un concerto perfettamente orchestrato in cui non è possibile udire una nota stonata. All’impeccabile fotografia fa da controparte la recitazione magistrale di Pfeiffer e Sutherland che portano sullo schermo due personaggi tangibili e sofferti sullo sfondo di una Brooklyn piovosa che assiste impietosa allo sciogliersi della tragedia.