Heart of the Sea – Le Origini di Moby Dick: recensione da letto
LEI: Heart of the Sea, film di Ron Howard
LUI: spettatore paziente e comprensivo che però rimpiange Peter Weir
– Non stare lì in silenzio… Dillo che non è piaciuto. Tanto lo so già…
– Beh, adesso non buttarti giù, dai.
– Oh, figuriamoci. Mi dirai che Ron Howard è sopravvalutato, che Chris Hemsworth è buono solo nei panni della divinità nordica…
– Piano, piano. Può darsi che non sia il nuovo Laurence Olivier, ma anche nei panni del primo ufficiale baleniere non sfigura. Guarda, secondo me non abbiamo ancora visto il meglio del buon Chris, però se continua a saltare da un blockbuster all’altro è difficile che lo vedremo. Chissà che non decida di fare un po’ di teatro, o un filmetto indipendente. Così, giusto per uscire dalla sua zona di comfort.
– Un po’ come ha fatto Matthew McConaughey, intendi?
– Esatto.
– E del resto del cast cosa ti è sembrato?
– Tanto di cappello a Brendan Gleeson e Ben Winshaw, rispettivamente nei panni del vecchio marinaio tormentato dai ricordi e di Herman Melville in cerca della storia che ispirerà Moby Dick. Hanno pochi minuti e poco materiale su cui lavorare, ma riescono a creare dei personaggi convincenti.
– Già, tanto di cappello.
– Però le buone notizie finiscono qui, piccola. Il resto del cast lascia parecchio a desiderare. Benjamin Walker interpreta il capitano Pollard, ma ha il carisma di una gomena e più o meno la stessa gamma di espressioni facciali.
Cillian Murphy rimane sullo sfondo, e lo stesso fa Tom Holland nei panni del marinaretto di primo pelo. Se vorrà essere un Peter Parker convincente, dovrà tirare fuori qualcosa di più. Staremo a vedere.
– Mmm. E la mia regia? La mia fotografia? Non ti sono piaciute neanche un po’?
– Discreta la fotografia, buona la regia. Ron Howard è un regista pragmatico. Umile, se vogliamo.
– Ma certo! Non si possono mica sempre fare piani sequenza da quindici minuti o inquadrature felliniane, insomma!
– Concordo, In the Heart of the Sea: non corri il rischio di avere inquadrature felliniane. Nella prima metà si è concentrato soprattutto sullo scontro con la balena bianca, nella seconda metà ha voluto puntare sul decadimento dei corpi dei naufragi. Le scene in cui si vede la balena sono in effetti le più spettacolari.
A parte quelle, Ron Howard se ne sta tranquillo a fare il suo compitino, senza alzare la testa e lasciando tutta l’attenzione all’evolversi della storia.
– Infatti!
– Però non è che hai molto da raccontare, Heart of the Sea…
– Eh?
– La tua sceneggiatura è semplice e accuratamente priva di vette di originalità, ma tutto sommato efficace. Ma la tua trama è fin troppo lineare. Con l’eccezione delle balene in CGI non fai un singolo tentativo di stupire il pubblico. La storia prosegue senza sobbalzi dall’inizio alla fine, dal rapporto burrascoso tra il protagonista e il capitano (che alla fine, guarda un po’, diventano amici) al pistolotto eco-esistenzialista d’ordinanza, fino al finalino in cui tutti vivono felici e contenti.
– Ecco, ecco! Lo sapevo! Sei crudele!
– Ma no, è che mi aspettavo qualcosa di più. Speravo fossi uno di quei film che passano ingiustamente inosservati, quelli che mi capita di vedere per caso qualche mese dopo che sono usciti e che mi piacciono da morire. Non è stato il tuo caso, In the Heart of the Sea: sei un film tutto sommato passabile, ma non fai altro che giocare in sicurezza, non corri nessun rischio. Sei un film senza infamia e con poca lode.
– Beh, io e la mia “poca lode” ce ne andiamo. Non provare a fermarmi.
– È un peccato, dolcezza. Volevo riguardarmi Master & Commander di Peter Weir: magari potevi imparare qualcosa.