L’ultimo mercenario: recensione del film Netflix con Jean-Claude Van Damme
Jean-Claude Van Damme torna a rivestire i panni di un duro dai muscoli d’acciaio nella commedia Netflix L’ultimo mercenario.
Dal 30 luglio 2021, Netflix ha reso disponibile ai suoi abbonati L’ultimo mercenario (The Last Mercenary), film diretto da David Charhon che ha come protagonista l’attore belga Jean-Claude Van Damme. La pellicola vede il ritorno di Van Damme in un prodotto per lo streaming, dopo la serie tv Jean-Claude Van Johnson che ha debuttato nel 2016 su Amazon Prime Video.
L’ultimo mercenario: Van Damme come spericolata ex spia
In L’ultimo mercenario, Jean-Claude Van Damme interpreta Richard Brumère, una ex spia dello Stato francese che ha scelto di continuare la sua vita di mercenario (appunto) in giro per il mondo, restando lontano dalla Francia. Qui vive suo figlio 25enne Archibald (Samir Decazza), che non ha mai conosciuto suo padre ma grazie al quale riceve inconsapevolmente, da parte dello stato, un lauto assegno di mantenimento e l’immunità diplomatica. A causa di un Ministro troppo ligio al dovere e per alcuni scherzi del destino, Brumère deve fare ritorno in patria per salvare il giovane figlio – che a differenza sua ha paura persino della propria ombra – e il Paese da una minaccia incombente.
La storia narrata dal film di Charhon risulta purtroppo insufficiente per sostenere quasi due ore di una commedia d’azione che dovrebbe divertire e lasciare lo spettatore con il fiato sospeso. Gli elementi che regia e sceneggiatura (firmata dallo stesso Charhon insieme a Ismael Sy Savane) avevano a disposizione non sono stati esplorati appieno nelle loro potenzialità. Non bastano infatti le larghe spalle di Van Damme per sorreggere con risultati soddisfacenti la pellicola.
Una commedia dalla resa macchiettistica
Gli ingredienti in L’ultimo mercenario c’erano tutti: uno dei volti storici del cinema d’azione, il mix tra sequenze di inseguimenti e cadute da slapstick comedy, la satira verso la burocrazia e le figure istituzionali, il rapporto padre-figlio reso ancora più complicato dal loro essere agli antipodi, l’importante missione da compiere da parte di una sgangherata squadra di agenti improvvisati… Charhon ha rivelato una debolezza di fondo nell’utilizzare le sue figure e ambientazioni, con il risultato di realizzare un’opera che non si distacca da una resa macchiettistica.
Van Damme ci prova a fare la differenza. Il suo prendersi in giro e il mettersi in gioco ridendo in primis di sé stesso sono ciò che poteva dare una chance alla pellicola: il duro che si rende ridicolo provoca sempre una reazione divertita. Già a partire dalla prima inquadratura del protagonista, la celebre spaccata dell’attore che gli permette di osservare il nemico dal soffitto di una stanza, palesa l’intento nostalgico e autoironico che Charhon vuole imprimere al film e ai suoi personaggi. La nostalgia e il rimando a una cinematografia passata sono visibili non soltanto dal volto sempre uguale a sé stesso di Van Damme, dal suo ruolo di macho senza paura e dalle sue mosse letali, ma anche dai continui rimandi a un film come lo Scarface di Brian De Palma, quasi un leitmotiv all’interno dell’opera.
Ma l’intento non basta: la debolezza della sceneggiatura e la banalità di scene già viste e prevedibili affossano L’ultimo mercenario, che si rivela essere un susseguirsi di azioni scontate e sconclusionate. Neanche i muscoli di Van Damme, alla fine, possono compiere un salvataggio tanto impossibile.