Recensione da letto – Beasts of No Nation
Lui: Beasts of No Nation, film di Cary Fukunaga
Lei: spettatrice contenta in quiete post-coitale
– Mmm… Beasts of No Nation…
– È un mugugno di soddisfazione?
– Certo, tesoro. Del resto, non mi aspettavo nulla di meno.
– Oh, le tue aspettative erano alte, quindi…
– Per forza, tesoro. Se non bastasse il fatto che il tuo regista è uno dei cineasti emergenti tra i più talentuosi, sei il primo film prodotto da Netflix: tutti aspettavano di scoprire come saresti stato, e alcuni hanno sperato che toppassi alla grande…
– Già, il cambiamento spaventa, soprattutto i proprietari delle catene di cinema. E riguardo al mio regista, hai ragione: con la prima stagione di True Detective, Cary Fukunaga si è imposto all’attenzione generale e ha dimostrato che un regista virtuoso piò trovare terreno fertile anche in una serie tv. Nel mio caso, poi, ha curato anche la sceneggiatura e la fotografia…
– Devo dire, Beasts of No Nation, che all’inizio ero incerta. I primi dieci minuti sono piuttosto lenti e prima che la regia o la storia riservino qualche sorpresa ne passano altrettanti.
– Lo so, lo so… Ma è necessario, tesoro: è il tempo che mi serve per parlarti di Agu, il protagonista, e della sua gente. Abitano in un villaggio del Nord Africa, si arrangiano in ogni modo per campare e sono molto religiosi. È una cosa voluta, capisci? È il ritratto della famiglia africana povera ma felice ed è volutamente stereotipato. Mi serve per dare al pubblico un’illusione di sicurezza, quasi di stabilità, per poi spazzarla via.
– Oh, sì, è vero… Da lì in poi, è una discesa all’inferno.
È da qui che ti fai valere, Beasts of No Nation. Perchè l’argomento dei bambini soldati è stato trattato anche in film come Blood Diamond o Rebelle, ma tu riesci ad andare più a fondo. E questo si deve all’enorme abilità narrativa di Fukunaga.
– Che ci vuoi fare: nei paesaggi africani fatti di giungle e baraccopoli, Fukunaga è come un bambino in un negozio di dolci. È il genere di ambientazione che riesce a far trascendere, ritraendo gli spazi dell’africa come se fosse la superficie di un pianeta lontano.
– Certo, ma non è solo questo. Regia, fotografia e sceneggiatura funzionano in una sinergia e non lasciano mai spazio al fascino della battaglia, non ci sono azioni eroiche nè omaggi al valore guerriero: solo un gruppo di ragazzini plagiati e senza speranza mandati a morire al suono di canzoni di guerra e riti tribali. Forse a tratti puoi ricordare film come Apocalypse Now o Full Metal Jacket, ma di certo non sei un film di guerra…
– Bene, direi che ho raggiunto l’obiettivo. Dobbiamo dire che il merito non è tutto della regia, però: Idris Elba si dimostra da subito un attore di grande carisma. Più ancora, dimostra di aver capito molto bene il suo personaggio, il comandante del battaglione di bambini, che per quanto sia un uomo senza morale, la cui specialità è trasformare bambini in soldati senz’anima, alla fine rimane una vittima.
– Sono d’accordo. E lo stesso vale per il giovanissimo protagonista, Abraham Attah, che è anche un’efficacissima voce narrante. Il monologo finale, nella sua semplicità devastante, costituisce la spiegazione definitiva dei danni psicologici che un soldato bambino subisce.
Se proprio devo trovarti un difetto…
– Ah, c’è un difetto, alla fine…
– … è che, sebbene la sceneggiatura sia rifinita e potente, il soggetto non è dei più originali.
– Mmm…
– Mettiamola così: sei uno dei migliori film della stagione, Netflix non poteva approdare al lungometraggio in modo migliore. E di sicuro confermi il talento di Fukunaga, al quale spero venga proposto un soggetto gagliardo e dirompente, qualcosa di mai visto prima in cui si possa esprimere fino in fondo.
– Mmm…
– Con te, Beasts of No Nation, questo non succede. Se vuoi, si sente la mancanza di Nic Pizzolatto. Ma ciò non toglie che sei un piacere per gli occhi e per il cervello.
– Mmm…
– È un mugugno di risentimento?
– Un po’. Dovrai farti perdonare. Stanotte dormi qui e domani prepari la colazione. E poi passiamo la mattina a guardare True Detective…