The Danish Girl: recensione da letto
LUI: The Danish Girl, film con due ottimi protagonisti e un ottimo regista, ma con poco altro.
LEI: spettatrice tutto sommato soddisfatta ma che ne ha abbastanza di foulard che volano al vento.
– Ah, finisci così?
– Sì… Sei commossa?
– Commossa? Per un foulard che vola nel cielo?
– Ma certo! Pensaci: è l’allegoria di Lili, ossia Einar, che finalmente è libera e può…
– Sì, The Danish Girl, dai. Ho capito l’allegoria. Ma non sa un po’ di già visto? Hai presente la piuma di Forrest Gump?
– Senti un po’, carina: se non ti sono piaciuto, puoi dirlo chiaramente. Senza tanti giri di parole.
– Ferma tutto. Non ho detto questo. Anzi, direi che in generale sei un ottimo film.
– In generale. Quanta grazia…
– Insomma, basterebbero i due protagonisti a fare di te un bel film.
– Eddie Redmayne ti ha convinto, sì?
– Eddie Redmayne è una macchina da guerra. Ha una capacità di annullarsi e concedersi completamente al suo personaggio che lo mette al livello di attori come Daniel Day-Lewis. Nei panni di Lili Elbe non risparmia nulla e dimostra un controllo totale su postura, movenze, tono di voce, espressioni del viso. E se la intende alla perfezione con Hooper, che riesce a cogliere e valorizzare ogni sfumatura.
– Potevano pure darglielo l’Oscar, allora…
– No, vecchio. Non gli hanno dato l’Oscar perchè è inglese, perchè glielo hanno già dato l’anno scorso e perchè comunque era giusto che andasse a Di Caprio. Però l’hanno dato ad Alicia Vikander…
– Beh, se l’è meritato, no?
– E chi lo sa? Parliamoci chiaro, The Danish Girl: l’Academy Award non è un certificato di qualità, soprattutto per gli attori. Dopo che nel 2010 hanno premiato Sandra Bullock, ci si può aspettare di tutto.
Con te Alicia Vikander dà una prova di maturità e talento. Certo, sbiadisce al paragone con Redmayne, ma sicuramente da Operazione U.N.C.L.E. ha fatto parecchia strada.
E sicuramente si merita una menzione d’onore Matthias Schoenaerts, che sembra Victor Laszlo in Casablanca.
– Mi pare di capire che gli attori ti siano piaciuti. Beh, meno male…
– Gli attori mi sono piaciuti molto, ma il padrone del castello rimane Tom Hooper, che sfrutta al meglio i due protagonisti e crea una narrazione giocata sulle suggestioni sensoriali. Tanta roba, The Danish Girl, tanta roba.
– Bene anche la regia, quindi…
– Più che bene. In una delle tue prime scene, quando Einar si appoggia addosso il vestito da donna per la prima volta, Hooper mostra le sue dita che scorrono sulla stoffa: tanto basta a raccontare come Einar scopra la propria femminilità, e di come questa scoperta sia intima, delicata e incontrovertibile.
– Esatto! È una narrazione giocata in punta di spada, fatta di sottigliezze e dettagli appena accennati. Più che di gender parlo di identità, della difficoltà a trovarne una, a convivere con quelle che viene assegnata, alla ferocia con cui la società può reagire.
– Concordo su tutto.
– E allora perchè non ti piace il mio finale?
– Perchè ti impedisce di essere un capolavoro, The Danish Girl. Sei un film con un regista d’eccezione e degli attori superbi, ma vieni tirato in basso da una sceneggiatura appena passabile. Qualcuno ha detto che sei un film facile da ammirare ma difficile da amare: la tua trama non riserva mai un sobbalzo, un guizzo, un colpo di scena. Ogni svolta narrativa è facilmente prevedibile.
– Per concludere, possiamo dire che sono bello ma senz’anima.
– Oppure che hai poco da dire, ma quel poco lo dici splendidamente. Vedi tu cosa preferisci. E adesso torna a letto, che ci guardiamo Priscilla, Regina del Deserto.