Visioni Fuori Raccordo 2017 – The First Shot vince la 10ma edizione
The First Shot vince Visioni Fuori Raccordo 2017, tra gli altri film premiati The Prison in Twelve Landscapes, Dolphin Man, Waiting for Giraffes, The Good Intentions.
La decima edizione del Festival del Documentario di Roma Visioni Fuori Raccordo arriva a conclusione dopo una settimana ricca di proiezioni in cui abbiamo visto opere uniche sia italiane che internazionali. A portarsi a casa la vittoria è The First Shot di Yan Cheng e Federico Francioni, già premiato in occasione del 53° Festival di Pesaro. L’attrice Valentina Carnelutti ha consegnato, insieme al giornalista Roberto Silvestri, il premio assegnato dalla giuria del festival – della quale fa parte anche il regista Daniele Vicari – che ha premiato il film per la sua capacità di raccontare la prima generazione cinese nata dopo le proteste di Piazza Tienanmen “senza giudizi, senza pregiudizi, coraggiosamente e per di più con un’estetica coerente, mai formale”.
Oltre a vincere il Premio al Miglior Documentario offerto da AAMOD – Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico e consistente in tre minuti di materiale d’archivio del valore di 4.500 euro, The First Shot ha ottenuto anche il Premio Cinema del Reale. Il film sarà presentato anche in occasione del noto festival pugliese, in programma il prossimo luglio.
Tra gli altri film hanno avuto successo The Prison in Twelve Landscapes e Dolphin Man. Menzione Speciale a Waiting for Giraffes di Marco De Stefanis, già presentato in anteprima mondiale all’ultimo Festival Internazionale di Documentario di Amsterdam IDFA per essere stato “un esempio di cinema del reale che cambia la vita e dà qualche risposta: fa entrare in Europa un pezzo di civiltà araba e fa star meglio anche gli animali”.
La seconda Menzione Speciale va invece a The Good Intentions di Beatrice Segolini e Maximilian Schleuber con la seguente motivazione:
The Good Intentions è un film fragile e a suo modo unico: entrare così tanto nell’intimità della propria famiglia con la camera è una delle cose più difficile da fare per un cineasta. L’autrice, scavando nel complesso rapporto con il padre, utilizza il cinema come strumento di analisi familiare e autoanalisi, strumento che aiuta la famiglia intera ad affrontare nodi e traumi resi inestricabili dal tempo e dal dolore rimosso. Così l’intimità messa a nudo dell’autrice trova nella onnipresenza della camera un chiaro punto di caduta emotivo che rende la riflessione sul patriarcato necessaria, profonda, per nulla oscena o ideologicamente orientata: il desiderio, forse illusorio, di sanare una ferita