Alien: Covenant – la recensione del film di Ridley Scott
Ridley Scott torna a dirigere Alien in un'escalation di sangue mixata in un riuscitissimo blend di classicità e modernismo, la recensione di Alien: Covenant
Dopo Alien del 1979 e Prometheus del 2012 Ridley Scott torna a casa portando sul grande schermo Alien: Covenant, suo terzo film della saga sullo Xenomorfo più famoso del cinema. Il sequel di Prometheus ha avuto una lunga fase di gestazione e ideazione da parte del regista; dopo aver annullato la perfetta serialità nel titolo (cambiando dapprima Prometheus 2 in Alien: Paradise Lost e arrivando infine ad Alien: Covenant) e dopo la sostituzione alla sceneggiatura di Damon Lindelof con John Logan e Dante Harper, Ridley Scott ha riportato in vita il franchise di Alien distaccandosi quasi completamente dall’esperimento (riuscito!) di Prometheus.
L’obiettivo palese del regista di Blade Runner era riunire passato e presente, cominciando a tessere le tela di un possibile nuovo franchise che camminasse parallelo a quello avente come protagonista Sigourney Weaver.
Il switch-off ormai definitivo di Alien 5 spalanca così le porte a Ridley Scott di una nuova incredibile saga basata sul primo Prometheus e che potrebbe portare alla comparsa di altri 6 sequel. Ma andiamo per gradi, Alien: Covenant vede come protagonista Daniels interpretata da Katherine Waterston (che in un certo senso ricorda molto Sigourney Weaver, tratti abbastanza mascolini e forme poco femminili) insieme a un equipaggio di terraformanti. Ancora una volta è donna la protagonista del film di Ridley Scott, una donna che si trova, ancora una volta, a lottare per salvare il destino della propria razza.
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Alien: Covenant di Ridley Scott non è il classico film su Alien, non ci sono angusti corridoi e inseguimenti in condotti dell’aria, stavolta l’azione è in campo aperto, su un pianeta apparentemente paradisiaco ma che cela un terribile segreto. Se nel film originale di Alien l’azione era prettamente concentrata negli spazi stretti e i lunghi silenzi opprimevano il cuore dello spettatore, questa volta si è passati dal microcosmo dell’astronave al macrocosmo del pianeta. Se Alien era un film freddo e infinitamente buio, Alien: Covenant è un film totale, un concerto di azione e coralità da pelle d’oca. La paura ora non è più chiusa in lamiere d’acciaio, ma è libera, totale, infinita.
Alien: Covenant è un ritorno alle origini del franchise
Tornando al franchise di Alien e richiamando chiaramente l’omonimo nome nel titolo, questa volta l’attenzione non poteva essere focalizzata nuovamente solo sugli Ingegneri di Prometheus. Il celebre xenomorfo è tornato! In forma diversa, più evoluto e più letale. Interessante notare come la forma mentis degli alieni sia radicalmente cambiata; se nella saga originale gli xenomorfi di fatto non uccidevano ma usavano gli essere umani come tramite per la nascita di nuovi esseri, qui invece sono apparentemente letali, non avendo quasi bisogno di uno stato di germinazione intermedio. Il tema principale del film è ancora una volta il mito della creazione e le relative domande. L’uomo è in grado di dare risposta a questo quesito? Siamo il frutto di esperimenti di razze aliene o c’è qualcos’altro da sapere?
L’incipit di Alien: Covenant è un sogno, un quadro!
Con questi quesiti inizia Alien: Covenant, sullo sfondo del ceruleo occhio di David e del suo creatore, il signor Weyland (Guy Pearce). Già nell’incipit ci rendiamo conto della perfezione registica, della magnificenza dell’inquadratura (il bianco non è un caso, rappresenta di per sé la perfezione, la purezza) e dell’incredibile set di capolavori che circondano i due protagonisti (dalla Natività di Piero della Francesca al David di Michelangelo passando per uno splendido pianoforte a dodici code). L’incipit, che sa tremendamente di onirico, sembra quasi il giudizio universale, il creato che si confronta con il creatore.
Dopo questa introduzione il film entra nel vivo mostrando la nave Covenant, diretta verso il pianeta Origae-6, e il suo sintetico di bordo Walter (Michael Fassbender) impegnato a risvegliare l’equipaggio dopo una brusca tempesta stellare. La nave subisce dei danni e le riparazioni porteranno a conoscenza di un segnale radio sconosciuto proveniente da un pianeta molto vicino e non calcolato dal computer di bordo. Deviata la rotta e attraccati sul pianeta, l’equipaggio della nave si renderà conto che quello che sembrava un paradiso in realtà celava un mistero agghiacciante collegato alla scomparsa della spedizione Prometheus.
Il sequel di Prometheus si collega direttamente ad Alien del 1979 e a Prometheus
Il pianeta è davvero simile alla terra ma qualcosa ha sconvolto totalmente il suo aspetto. Presto le infezioni inizieranno a proliferare e l’equipaggio si troverà duramente messo alla prova non solo dalle oscure presenze aliene. Infatti il pianeta è abitato dall’androide David, lo stesso presente nella spedizione Prometheus. La strada per il paradiso comincia dall’inferno.
Persa ormai l’originalità assoluta che ha reso Alien un caposaldo della fantascienza moderna, il film tenta di percorrere una via diversa e ci riesce egregiamente. La fantascienza ormai recita solo il ruolo di comprimaria, solo la cornice di una tela molto più grande e ambiziosa. Alien si è evoluto e con il tempo anche il genere è mutato, dal thriller sci-fi la contaminatio generis ha fatto sì che il mostro di Ridley Scott diventasse un vero e proprio serial killer. Dal sci-fi si è passati lentamente al survival horror finendo addirittura per toccare vertici splatter (vertici che Alien: Covenant tocca e volutamente innalza).
Ridley Scott mostra tutta la sua classe registica in Alien: Covenant
La regia del Maestro è perfetta, senza sbavature, dura e concentrata sull’azione. La contrapposizione tra una fotografia scura e buia e quel rosso verace del sangue danno un tocco di barocco alla pellicola. I toni sono pacati e mai chiassosi, l’azione è concentrata in tutto il film, i dialoghi sono ricchi, sostanziosi e piacevolmente citazionisti (memorabile il sonetto di Shelley recitato da David), da sottolineare il confronto tra i due androidi, non basato sul classico campo e controcampo, ma girato in focale fissa, come se i due fossero due facce di una stessa moneta. Michael Fassbender guida il cast alla perfezione e il suo essere istrione non oscura affatto la caparbietà attoriale di Katherine Waterston che veste magnificamente il ruolo della final girl.
La colonna sonora riprende i temi cari sia alla quadrilogia di Alien che a Prometheus: è precisa, incalzante quando serve e mai invasiva, con un tocco di classicità (L’ingresso degli dei nel Valhalla di Richard Wagner è sublime e degna di nota). Sul dualismo classicità-innovazione si basa Alien: Covenant, un incontro-scontro tra padri e figli, tra creato e creatore.
Il ritorno del papà di Alien è davvero da applausi, un film vivo, cattivo e crudo, dove i grandi temi creazionisti lanciati in Prometheus vengono sviscerati in una lotta senza tempo tra razze e mondi diversi.
Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re, Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!