The Witch: recensione del film di Robert Eggers
Come trovare originalità e brio in un horror del 2016? Chiedete a Robert Eggers, regista dell’incredibile The Witch, nuovo horror in arrivo il 18 agosto nelle sale italiane del quale vi avevamo mostrato il trailer qualche tempo fa.
Dopo aver conquistato il pubblico e la critica nella sale americane e durante il Sundance Film Festival, arriva in Italia uno dei film più incredibili che si riescano a ricordare negli ultimi anni.
L’horror da sempre è un genere considerato e ritenuto d’impatto per il pubblico, dunque l’attesa e le aspettative sono sempre elevatissime per questo tipo di prodotti.
Se poi ti chiami Robert Eggers e sei al tuo primo lungometraggio ufficiale con un cast di “quasi” emeriti sconosciuti allora l’occhio della critica diventa particolarmente vigile e, molto spesso, si rischia di cadere nel citazionismo a volte anche inopportuno, soprattutto se, come sosteneva il grande Umberto Eco, se ne fa un uso poco parsimonioso scimmiottando lo stile altrui.
The Witch di Robert Eggers (stilizzato in The VVitch) rappresenta quanto di più classico esista nel genere: paure ancestrali, terrore degli sguardi, ritmi lenti e ambientazioni gotiche secentesche fanno sfondo a questa pellicola. Ciò che meraviglia nel film con protagonista la giovane Anya Taylor-Joy (presto la vedremo nel thriller Split di M. Night Shyamalan) è la regia; pulita, nitida e terribilmente d’effetto. Eggers riesce a gestire i movimenti della macchina con sapienza, generando un tono meravigliosamente statico e artistico nelle panoramiche, i personaggi sembrano parte di un giogo non totalmente sotto controllo.
L’aere aulico e mormone accentua la “pesantezza” delle situazioni, ogni singolo fotogramma è abilmente studiato per generare tensione – già, la tensione, questa sconosciuta nell’horror moderno.
La potenza è inoltre nella colonna sonora, che riesce a emozionare nel momento opportuno
In The Witch si riesce ad avere paura senza l’uso di effetti speciali, CGI e moderne tecnologie. Tutto è azzerato dal tono gotico, dalla sceneggiatura scritta dallo stesso regista che si rifà ai popolari racconti del New England e una fotografia buia che riecheggia, in un certo senso, lo stile di Roger Deakins e Gerardo Puglia in The Village di M. Night. Shyamalan.
Le differenze sostanziali con il genere moderno stanno tutte nella carica della scrittura, non c’è bisogno di azioni frenetiche per “muovere” l’attenzione dello spettatore, basta creare una storia a effetto, inserire personaggi con una determinata carica emotiva e cospargere l’intera pellicola di elementi che riguardano il nostro background culturale. La potenza è inoltre nella colonna sonora che riesce a emozionare nel momento opportuno, senza sconvolgere il corso degli eventi.
L’amore verso Dio è forse la loro più tremenda condanna, la paura e la vergogna di ogni singola azione
La storia è ambientata nel 1630, in New England, e vede protagonista una famiglia composta da padre, madre e 5 figli, che si sposta dal villaggio in un piccolo borgo situato vicino la foresta. Lo spostamento comporta numerose rinunce e le vicissitudini dovute alla scarsità del raccolto influiscono sulla psiche altamente instabile degli elementi familiari. Gli unici che sembrano disimpegnati sono i bambini, le loro giornate passano tra giochi innocenti e buoi momenti di preghiera in compagnia della fervente fede dei capifamiglia.
La figlia più grande, Thomasin, si trova a giocare con il neonato Samuel, quando tutto d’un tratto il piccolo scompare nel nulla senza lasciare traccia. Apparentemente si pensa che i lupi possano aver aggredito il piccolo ma qualcosa di malvagio vive nella foresta. Una strega minaccia la tenuta della famiglia e la situazione si aggrava ulteriormente con la povertà dei raccolti.
La scomparsa del figlio porta la famiglia sull’orlo della pazzia, la debole tenuta del nucleo familiare svanisce tra superstizioni, paure ancestrali e follia radicale. Siamo davvero sicuri che il nemico sia solo la strega del bosco? Qualcosa di più malvagio muove le fila di un progetto dell’occulto davvero raccapricciante.
Niente è lasciato al caso, ogni parola scorre soavemente e si libra nell’aere gotico intarsiandosi leggiadramente con una fotografia fastosa come non mai
Un elemento che terrorizza e non poco è l’aspetto psicologico; il regista infatti si concentra sul lento disfacimento della debole psiche degli uomini di quel tempo. L’amore verso Dio è forse la loro più tremenda condanna, la paura e la vergogna di ogni singola azione porta alla completa disgregazione di ogni singola sicurezza. Non c’è pace in ogni movimento e ogni motivo è buono per pentirsi di peccati non commessi.
The Witch sorprende e spaventa, difficilmente questi due aggettivi riescono a condividere la stessa frase. Un elemento che non va sottovalutato e che spesso si riduce nell’horror moderno alla sagra dell’ovvietà è il dialogo tra i protagonisti. Niente è lasciato al caso, ogni parola scorre soavemente e si libra nell’aere gotico intarsiandosi leggiadramente con una fotografia fastosa come non mai. Se, come sosteneva Montaigne, la parola è per metà di colui che parla, per metà di colui che l’ascolta, allora The Witch di Robert Eggers è un plauso degnissimo al cinema di genere che appartiene equamente a Eggers e al pubblico dell’horror autentico.
Suonando un ipotetico spartito The Witch è la Quinta Sinfonia, un vero gaudio alla vista e all’udito; le vie della vera paura conducono tutte nel nostro più profondo inconscio.