A Killer Paradox: recensione della serie TV Netflix
La recensione del k-drama che Kim Da-min e Lee Chang-hee hanno tratto dal webtoon Naver di Kkomabi. Dal 9 febbraio 2024 su Netflix.
Il k-drama è diventato ormai un appuntamento fisso per gli abbonati di Netflix, che mensilmente propone loro un nuovo show sudcoreano. In attesa del rilascio della seconda stagione di Squid Game ecco approdare sulla piattaforma a stelle e strisce dal 9 febbraio 2024 un’altra serie sulla carta davero promettente. Trattasi di A Killer Paradox, adattamento dell’omonimo webtoon Naver di Kkomabi, scritto da Kim Da-min e diretto dal connazionale Lee Chang-hee. Gli otto episodi da 52 minuti circa cadauno che lo compongono ci portano al seguito dello studente universitario Lee Tang che, dopo avere compiuto un omicidio, si ritrova coinvolto in un’interminabile corsa a ostacoli con un astuto investigatore che non si fermerà davanti a nulla pur di catturarlo. La vittima però si rivelerà a distanza di pochi minuti dalla morte essere un serial killer, con il protagonista che scoprirà a sua volta di avere il potere di riconoscere le persone malvagie e perciò deciderà di eliminarle una per una trasformandosi in una sorta di giustiziere della notte.
A Killer Paradox si muove abilmente su un confine labile di generi e registri
Con un plot così c’è dunque da aspettarsi di tutto da uno show che si muove abilmente su un confine labile di generi e registri, chiamandone in causa diversi per poi alternarli o mescolarli senza soluzione di continuità. A Killer Paradox infatti parte come un thriller psicologico ma, pian piano, tra colpi di scena e continue rilevazioni, assume strada facendo un’altra veste, a metà strada tra una storia di vendicatori e un racconto dall’aura soprannaturale, nella quale vengono iniettate di volta in volta dosi più o meno massicce di dramma, horror, noir e grottesco. Accostamenti e avvicendamenti, questi, che permettono al DNA di base di mutare camaleonticamente quel tanto da assumere sembianze diverse e imprevedibili. Il tutto al fine di tramutare lo schermo in un “ring” sul quale si fronteggiano a viso aperto il bene e il male, con un verdetto che all’ultimo round potrebbe non consegnare allo spettatore di turno un vero e proprio vincitore, ma degli sconfitti che escono dalla contesa ciascuno con le ossa rotte. Sarà la visione e due episodi conclusivi al cardiopalma a emettere tale verdetto.
La fruizione regala una successione di colpi di scena e di capovolgimenti di fronte che fanno della linea orizzontale un percorso ad ostacoli per i personaggi e per il pubblico
Nel frattempo la fruizione regala una successione di colpi di scena e di capovolgimenti di fronte che fanno della linea orizzontale un percorso ad ostacoli per i personaggi e per il pubblico. Entrambi sono chiamati a misurarsi con una vicenda che ruota attorno alla dualità tra un assassino e un poliziotto, ma soprattutto con dinamiche che esplorano le profondità della psiche umana e le circostanze che possono spingere una persona comune a macchiarsi di un crimine. Di conseguenza A Killer Paradox pone attraverso la sua visione una serie di dilemmi e di sfide morali ed etiche che donano spessore a uno show che oltre a intrattenere si focalizza su tematiche dal peso specifico rilevante. Ed è proprio questo uno dei punti di forza, vale a dire la capacità della scrittura – e di riflesso della sua trasposizione – di far coesistere in maniera equilibrata le differenti argomentazioni, anime e colorazioni presenti sulla tavolozza a disposizione degli autori.
Lo sceneggiatore prima e il regista poi sfruttano al meglio il potenziale visivo e narrativo della matrice originale
Lo sceneggiatore prima e il regista sfruttano al meglio il potenziale della matrice originale, conferendo a quest’ultima una compattezza narrativa molto più vicino a un prodotto cinematografico che seriale. Del resto, il regista sudcoreano è noto nel settore per la sua capacità di creare atmosfere tese e coinvolgenti, mentre lo sceneggiatore Kim Da-min dimostra ancora una volta di conoscere i trucchi del mestiere, sfruttando al meglio i meccanismi a orologeria del thriller, contaminandolo con altri stilemi per dare vita a un mondo pieno di suspense e complessità. Se poi a questo andiamo ad aggiungere delle performance di grande livello come quelle di Choi Woo-shik e Son Suk-ku, rispettivamente nei panni di Lee Tang e del detective Jang Nan-gam, allora il risultato non può che essere particolarmente succulento. Vedere per credere.
A Killer Paradox: valutazione e conclusione
Lo sceneggiatore Kim Da-min e il regista Lee Chang-hee sfruttano ciascuno a proprio modo le potenzialità visive e narrative del webtoon di Kkomabi per dare forma e sostanza a una serie coinvolgente, capace di mescolare senza soluzione di continuità generi e registri. Ma è la capacità di mettere personaggi e spettatori davanti a una successione di sfide e dilemmi etici e morali di alto profilo il vero punto di forza dello show. Quest’ultimo è impreziosito da una confezione fortemente cinematografica in termini stilistici e fotografici, oltre che da performance attoriali di altissimo livello, a cominciare da quelle di Choi Woo-shik e Son Suk-ku, rispettivamente nei panni di Lee Tang e del detective Jang Nan-gam.