Another Life – Stagione 2: recensione della serie TV Netflix
Terra e spazio, artefatti alieni e navi spaziali, sci-fi e sentimenti. La seconda stagione di Another Life non è all'altezza delle sue premesse. Dal 14 ottobre 2021 su Netflix.
Siamo soli nell’universo? No. Another Life, serie sci-fi creata da Aaron Martin e disponibile su Netflix con la seconda stagione (la prima era del 2019) a partire dal 14 ottobre 2021, la questione la prende di petto e non ha molti dubbi in proposito. Non ne ha almeno da quando un misterioso manufatto alieno arriva sulla Terra per mettere in moto una reazione a catena fatta di dubbi, paure, sospetti e speranze. Apocalisse della civiltà? Resurrezione ecologica? Un po’ di entrambe?
Spulciando tra le pieghe dei 10 episodi che compongono questa seconda – chissà se conclusiva – stagione, qualcosa in merito si può anche intuirlo. Va detto che il gran finale, ovviamente qui non si svela niente, apre idealmente le porte a una serie di possibilità alternative. Ma il futuro conta relativamente, qui si parla del presente. E il presente racconta di una serie con potenzialità interessanti che fatica maledettamente a trovare, trovare cosa? Un ritmo, un passo, una vibrazione e una chiave di racconto capace di sostenere le sue ambizioni visive, tematiche e, cosa più importante, emotive.
Another Life 2: tra famiglie separate da anni luce, viaggi spaziali e alieni misteriosi
Una delle conseguenze più rilevanti della misteriosa apparizione aliena alla base di buona parte delle cose che succedono in Another Life è, senza dubbio, la separazione di una famiglia. Questo perché, al cuore della serie, c’è prima di tutto un’urgenza emotiva. Da plasmare e comunicare, insieme e oltre il gran disegno fantascientifico. La famiglia è quella di Niko ed Erik. Niko (Katee Sackhoff), di provenienza Battlestar Galattica, è il comandante in capo della poderosa nave spaziale Salvare (voce del verbo). In missione nello spazio, siderale e parecchio ostile, per cercare di trovare un senso a tutta questa strana storia. Erik (Justin Chatwin) è lo scienziato che resta sulla Terra, per studiare e decifrare le possibilità di un contatto tra specie aliene differenti. Incidentalmente è anche il marito di Niko e il papà di Jana, la figlia della coppia. Molto della seconda stagione è giocato sul crinale di questa possibile (?) riunione; lui, lei, la figlia. Lontani anni luce, tenuti insieme dalla forza del sentimento, dalla speranza di una riconciliazione. E dal timore che l’umanità abbia le ore contate.
Tutta colpa degli Achaia. La specia aliena incorporea, una bella trovata, enigmatica a livelli esponenziali. Non si sa di che pasta siano fatti (letteralmente); neanche quali siano i reali obiettivi del loro inconsueto approccio. In verità, qualcosa si intravede. Buona parte del cast non fatica a immaginare che, dietro le promesse di rigenerazione ecologica offerte ai terrestri in cambio di poco o nulla, la promessa di starsene buoni nel sistema solare e non ficcare il naso in faccende che non li riguardano, si nasconda l’ombra della colonizzazione e chissà, forse anche peggio. Gli Achaia protestano, negoziano, i feedback dalle galassie vicine però non sono proprio tranquillizzanti. Non depone a loro favore neanche l’abitudine di inserire impianti nel cranio dei malcapitati che accettano il regalino, trasformandone atteggiamenti e personalità in maniera davvero inquietante.
Voi da che parte stareste? L’umanità di Another Life in effetti si divide in due categorie. I pochi, ma in alte sfere, che credono nella buona fede del programma Achaia e sono disposti a barattare la perdita della libertà con una nuova abitabilità per la Terra, argomento molto attuale. E i molti, ma poco autorevoli, che invece non si aspettano niente di buono e preferirebbero combattere, anche se il profilo e le intenzioni del nemico restano molto, molto ambigue. Tra questi Niko, Erik e buona parte dell’equipaggio della Salvare. Il vantaggio (narrativo) dell’ibernazione è che permette di giocare con il cast e non fossilizzare l’attenzione dello spettatore su un panorama statico. I volti cambiano velocemente, ma un’attenzione nel grande mare del cast della serie va data a Elizabeth Faith Ludlow, Cas, secondo in comando nella nave, dal background infelice e dalla gran tenacia. E al personaggio più interessante, William (Samuel Anderson), interfaccia dell’IA (Intelligenza Artificiale) di bordo davvero umanissimo nei sentimenti; più umano degli umani viene da dire.
L’intelligenza artificiale umanizzata è una buona idea, per una serie afflitta da limiti di scrittura
Umanizzare il computer di bordo non è proprio l’ultima delle novità. Stanley Kubrick girò un film attorno a una lucina psicotica che si divertiva a far fuori la gente. Anche lì, 2001: Odissea nello Spazio, si parlava di artefatti alieni e promesse evolutive. Questo per sottolineare come, al di là di paragoni insostenibili e mai realmente inseguiti, Another Life “prenda in prestito” idee, spunti e possibilità estetiche/tematiche a decenni e decenni di fantascienza come si deve. Su video e carta. L’originalità è lontana anni luce (pardon) da queste spiagge, ma il conforto per lo spettatore che non si preoccupa molto di queste cose è quello di una tranquillizzante prevedibilità d’approccio. I problemi, grossi, stanno altrove.
Non male l’idea di modellare in William l’impronta di un elaboratore a modo e molto discreto, lacerato dall’impossibilità, letterale, di dar corpo alla sua umanità. Addirittura innamorato; emozioni e una mente dalle possibilità smisurate, pure il profilo è evanescente, chiunque può attraversarlo, è un po’ come fendere l’aria. Il cast è incredibilmente inclusivo, al limite del calcolo millimetrico, ma la cosa funziona comunque perché tante persone che non si trovano rispecchiate nei libri che leggono, nella musica che ascoltano, nei film che guardano, qui troveranno una casa. I problemi, già detto, sono altrove. Problemi di scrittura.
Per la gran parte, la serie Netflix fa collezioni di scene madri dalle potenzialità interessanti ma dal fuoco smorzato e separate da transizioni troppo, troppo didascaliche. Lo scenario sci-fi e il contenuto emotivo non legano male, amore e stringhe cosmiche, il look accogliente, ma la serie fatica comunque a decollare. Ogni snodo è risolto frettolosamente e spesso in maniera molto arbitraria. Nel lungo periodo questo fattore contribuisce a spegnere la potenza dei crocevia narrativi che puntellano l’arco di Another Life. Serie disperatamente in cerca del ritmo giusto, ma che deve accontentarsi di accendersi a intermittenza.