Anthracite: recensione della miniserie Netflix

La recensione della miniserie francese thriller-poliziesca creata dal team guidato da Fanny Robert e diretta da Julius Berg. Dal 10 aprile su Netflix

Ci sono storie narrate sul grande e piccolo schermo che, per quanto incredibilmente sanguinarie e difficili da accettare, si fa davvero fatica a credere. Eppure come nel caso di Anthracite, la miniserie francese in sei episodi (da 50 minuti circa cadauno) disponibile su Netflix dal 10 aprile 2024, anche se frutto dell’immaginazione, trae spunto da fatti realmente accaduti che la showrunner Fanny Robert ha avuto modo di apprendere negli anni di gioventù, quando cresceva nell’area intorno al villaggio fittizio in cui è ambientata la vicenda. Romanzata da lei e dal suo team writing, del quale fanno parte Maxime Berthemy, Sophie Lebarbier e Mehdi Ouahab, la vicenda in questione ci porta in un paesino sulle Alpi, laddove nel 1994 il suicidio di massa degli adepti di una setta sconvolse la comunità locale e non solo, dominando le testate dei giornali. Esattamente 30 anni dopo, una donna viene uccisa in un macabro rituale che riaccende i riflettori sugli eventi del passato. Tutti i sospetti si concentrano su un forestiero di nome Jaro (Clément Penohat, conosciuto anche con il nome di Hatik, con cui porta avanti la sua carriera da rapper), arrivato da poco nella zona per ricostruire la sua vita dopo alcuni guai con la legge. Per provare la sua innocenza inizia a indagare assieme a Ida (Noémie Schmidt), un’eccentrica geek iperconnessa a sua volta sulle tracce del padre scomparso di recente proprio mentre indagava su quella strana vecchia setta. Ben presto, i due si rendono conto che il loro coinvolgimento nel caso non è fortuito e che le risposte che stanno cercando sono radicate nei segreti del loro passato.

Quello proposto da Anthracite è il campionario classico solitamente in dotazione alle serie che tanto piacciono agli appassionati di cronaca nera e cold case

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Ed è su e intorno a questa matassa ingarbugliata di misteriose scomparse, sette inquietanti, delitti efferati e sconvolgenti verità sepolte che ruota e si sviluppa il plot e la linea orizzontale di Anthracite. Ingredienti, questi, che vanno ad alimentare la trama, gli intrecci narrativi e a delineare i profili dei personaggi principali e secondari di uno show che mescola crime, thriller e poliziesco, a cominciare da quello della co-protagonista Ida, il cui identikit è tagliato su misura per i generi chiamati in causa nella serie dato che è parte di una comunità di web sleuthing, ovvero di appassionati che investigano sulla rete per risolvere casi la cui soluzione appare impossibile o intricata. Insomma, una figura che insieme a tutte le altre schierate da una parte e dall’altra della barricata che separa il bene dal male, rappresentano il campionario classico solitamente in dotazione alle serie che tanto piacciono agli appassionati di cronaca nera e che su Netflix vanno per la maggiore. Non a caso si è andata subito a piazzare nelle prime posizioni della top ten dei titoli più visti nella settimana di uscita.

Gli autori di Anthracite hanno attinto a piene mani dal repertorio a disposizione del poliziesco, del crime e del thriller per poi assemblarli in maniera confusionaria e forzata

Anthracite cinematographe.itStaremo a vedere però quanto riuscirà a rimanerci, poiché rispetto ad altre operazioni analoghe appartenenti e no al catalogo del broadcaster a stelle strisce, tra cui le più convincenti e riuscite The Forest e Black Spot, presenta diverse problematiche e fragilità strutturali che ne mettono in evidenza le criticità e le debolezze. Come accade spesso in questa tipologia di show a fare da cornice c’è quasi sempre un piccolo angolo di paradiso ritagliato tra panorami mozzafiato. L’idea di trasformare queste location da sogno, dove la pace e la tranquillità dovrebbero essere all’ordine del giorno, in inferni in Terra, è un modus operandi piuttosto comune in quei progetti che basano i propri racconti sui codici e gli stilemi del cold case e del true crime. La strizzata d’occhio alla letteratura, alle serie e ai film dei colleghi scandinavi, che si sa essere maestri nel maneggiare la suddetta materia prima, in tal senso è piuttosto evidente. Purtroppo per cucire insieme tutti i pezzi, gli autori di Anthracite hanno attinto a piene mani dal repertorio a disposizione per poi assemblarli in maniera confusionaria e forzata, mettendo davvero troppa carne sul fuoco così da depotenzializzare i cliffhanger e i colpi di scena, alcuni dei quali prevedibili e francamente poco credibili. Eppure dietro la scrittura c’era un gruppo piuttosto collaudato, che anche in passato ha avuto modo di confrontarsi, sicuramente con più convinzione, con il mix di generi chiamati in causa. La mente torna infatti a Profiling e Vise le coeur. La Storia ci insegna che l’esperienza non sempre basta e lo dimostra questa nuova fatica sulla lunga distanza, alla quale purtroppo nemmeno il contributo dietro la macchina da presa di un regista esperto come Julius Berg è servito per tenere a galla il tutto. Il tentativo di “sporcare” con pennellate di humour, legate principalmente al personaggio di Ida, l’impianto drammatico e mistery, anche in questo caso appare una forzatura che si poteva tranquillamente evitare. Ecco che a conti fatti e al netto delle problematiche riscontrare nel corso della visione

Anthracite: valutazione e conclusione     

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Dalla Francia una miniserie thriller-poliziesca a base di misteriose scomparse, sette inquietanti, delitti efferati e sconvolgenti verità sepolte, nata dal team writing guidato da Fanny Robert e diretta con mano ferma dal regista di The Owners, Julius Berg. Loro e nostro malgrado però lo show, pur se sorretto da una trama fitta e piena di tourning point interessanti, non riesce a reggere il peso della lunga distanza, perdendo gradualmente di efficacia, concretezza e soprattutto di credibilità. La scrittura finisce per ripiegarsi su se stessa a causa dell’incapacità dei responsabili di tenere insieme tutti i tasselli del mosaico. Il tutto si riversa in uno script dagli evidenti problemi strutturali, frutto di scelte francamente discutibili (vedi il ricorso allo humour), che si ripercuotono negativamente anche sulle performance degli interpreti e sulla confezione.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.7

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