Art of Crime – Stagione 1: recensione del primo episodio

Un ufficiale di polizia e una storica dell'arte indagano insieme sul furto di un quadro e su un omicidio, che sembrano apparentemente connessi. 

Touraine. Antoine Verlay (Nicolas Gob), ufficiale di polizia della Brigade criminelle, che si occupa di crimini vari come rapimenti, omicidi, stupro e terrorismo, viene chiamato a Touraine, precisamente nel castello di Amboise, sulla Loira: un quadro del Rinascimento, raffigurante Anna di Bretagna, è stato infatti rubato la notte prima. Allo stesso tempo, però, nel giardino del castello c’è un cadavere: si tratta del fidanzato di un’anziana e ricchissima collezionista, pugnalato a morte proprio dopo aver rubato il quadro, il cui valore è peraltro irrisorio. Dato che Antoine non sa nulla di arte, il suo superiore gli affianca Florence Chassagne (Éléonore Gosset), storica dell’arte che lavora al Louvre, soffre di agorafobia e ha pochissimo tatto per le persone che la circondano.

Il cliffhanger alla fine del pilot di Art of Crime

La prima puntata di Art of Crime finisce a metà della storia: la serie, che conta in tutto sei puntate, è concepita per spalmare una singola indagine in due episodi, per un totale di tre indagini (e dunque sei puntate in tutto). Il pilot si chiude con un cliffhanger interessante, che verrà svelato presumibilmente solo nel secondo episodio. In questo modo, un minimo di suspense sostiene una serie crime con ben pochi spunti originali e, finora, ben poco spessore.

art of crime cinematographe

Art of Crime non ha dunque solo di un problema di storia, banale e oltretutto infarcita di azzardi storici (forse che il quadro di ben poco valore, presumibilmente una crosta, celi qualcosa che vale molto di più?). L’unico momento piuttosto sorprendente, l’abbiamo detto, è alla fine del pilot. Il resto ha sempre il gusto del già visto, con i due protagonisti che è facile inferire si piaceranno da pazzi di lì a pochissime puntate. Il resto della serie, dunque, al netto della diversità delle tre indagini che racconterà, è già abbastanza chiaro agli occhi dello spettatore.

I due protagonisti di Art of Crime ingabbiati in ruoli di non grande spessore

Nicolas Gob ha anche il cipiglio rabbuiato del poliziotto con una marea di guai a casa e parecchie gatte da pelare al lavoro (e infatti è anche il personaggio più convincente della puntata). Éléonore Gosset, invece, è tutto meno che convincente, e non è di certo aiutata dai movimenti di macchina e dalle scelte di regia di Charlotte Brandström (una carriera da regista di serie TV, ha anche diretto un episodio di Grey’s Anatomy), soprattutto quando vuole raccontare l’agorafobia che affligge la protagonista. La cura per i suoi disturbi psichici forniti dalla sua psicoterapeuta è da fiera delle banalità, zona film sentimentali (vedere per credere).

La sceneggiatura inconsistente di Art of Crime 

Oltre a questo, dunque, cos’è dunque Art of Crime? Tutto il resto sono brutte pashmine abbinate (malissimo) a discutibili camicette a fiori (ma il reparto costumi è fatto di professionisti o no?), castelli principeschi abitati da ricchissime ereditiere, e uffici dell’OCBC (Office Central de lutte contre le trafic des Biens Culturels, che si occupa di beni artistici rubati) piuttosto futuristici. La sceneggiatura di Art of Crime presenta dialoghi piattissimi e poco coinvolgenti, e si basa oltretutto sull’abc dell’indagine poliziesca: nessun guizzo di originalità, nessun plot twist di rilievo, salvo forse il cliffhanger finale. Si può quasi sentire lo spettatore anticipare ogni sviluppo dell’indagine. Speriamo solo che il resto della serie sia migliore del pilot.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5