Baby Boss: di nuovo in affari – recensione della serie tv Netflix
La recensione di Baby Boss: di nuovo in affari, la serie tv animata disponibile su Netflix, tratta dal film d'animazione della DreamWorks. Stavolta i due fratelli protagonisti dovranno dare filo da torcere ai gatti.
Tim e il piccolo uomo in giacca e cravatta sono tornati; la pellicola d’animazione Baby Boss, prodotta da Dreamworks, ha un suo “figlio” seriale in cui si raccontano le fantasmagoriche avventure dell’agente segreto e del fratello maggiore. Sono tornati in affari i fratelli Templeton, come dice bene il titolo Baby Boss: di nuovo in affari (serie curata dal vincitore dell’Emmy Brandon Sawyer, noto per I Pinguini di Madagascar) appunto, e le loro avventure si srotolano in 13 episodi da 24 minuti ciascuno. Lo show Netflix riprende le fila da dove il cartone animato si era concluso: Tim e Baby Boss si sono riappacificati sentendosi veramente fratelli, o quasi (le puntate si costruiscono proprio sugli scontri tra il piccolo tiranno e il fratello grande, tenero e profondamente legato alla famiglia), dopo aver salvato i genitori e dopo aver invertito il pensiero collettivo secondo cui i cuccioli sono al primo posto nei cuori di tutte le famiglie (al posto dei neonati).
Baby Boss: di nuovo in affari – la guerra del protagonista contro i gatti
Il lavoro di Baby Boss non è finito però. Il mondo è pieno di insidie per lui e per la Baby Corp, azienda e quartier generale – a cui si arriva grazie al ciuccio trasportatore – dove lavora il nostro protagonista tra scartoffie, problemi e litigi. I neonati sono di nuovo un trend positivo – come non amarli in effetti, occhi dolci, sorriso che conquista, divertenti per come si muovono nel mondo – ma affinché nulla cambi Baby Boss deve tenere tutto sotto controllo – e non sempre ce la fa da quando un nuovo nemico li vuole sconfiggere attraverso soffici e dolci gatti -, deve imparare ad affidarsi anche agli altri dividendo il lavoro con il fratello maggiore e la sua banda (quando si ammala ad esempio).
Il neonato in giacca e cravatta viene messo alla prova dal “peggior bambino del mondo” – che viene rapito e sottoposto ad una sorta di cura Ludovico di kubrickiana memoria – , da gattini dolci e conquistatori con il loro pelo lucido e le loro accattivanti e ingannatrici fusa, da bambini piangenti e lamentosi che rovinano la piazza all’intera categoria, da una baby sitter fin troppo brava (o forse molto furba). Il protagonista riesce sempre a cavarsela, sa come fare per riuscire nell’impresa ma è anche chiaro che Baby Boss e Tim devono fare squadra.
Come tutti i fratelli giocano insieme davanti ai genitori ignari delle loro avventure ma nella Baby Corp rivestono altri ruoli, il boss e il braccio destro. Si uniscono per superare gli ostacoli e per uno scopo comune, riuscire nell’impresa: Baby Boss deve portare in alto la categoria e Tim aiuta il fratellino che vive al lavoro una concorrenza spietata (il suo “rivale in affari” lo umilia affiggendo alla porta del suo ufficio la targa WC).
Tim e Baby Boss portano nelle loro peripezie ciascuno la propria personalità, si mostrano per quello che sono quando i genitori (o qualunque altro adulto) non sono presenti: il piccolo può parlare, camminare, comandare e il secondo è un suo subalterno (come avviene poi in realtà in ogni famiglia). Il Boss è come un caterpillar che segue le leggi del business e quelle del marketing (seguono grafici, app che segnalano quanto sono amati i piccoli rispetto ai gatti, grandi nemici di queste puntate) diventando il primo neonato capace di raggiungere l’equilibrio tra tempo libero e lavoro, Tim invece ragiona con il cuore, pensa ai sentimenti – non vuole veder soffrire nessuno, si mette nei panni dell’altro, pensa alla famiglia, quella composta dal piccolo, come lo chiama lui, da mamma e papà e da lui – e cerca sempre di far ragionare gli altri. In Baby Boss: di nuovo in affari, come nel film, emergono tutte le dinamiche familiari che si instaurano quando arriva un altro bambino: Tim diventa quello grande, che combina guai, che deve aiutare mamma e papà, mentre Baby Boss è il Re della casa, guardato come un gioiello prezioso, e tiranneggia proprio in virtù del suo status avendo in pugno tutti.
Baby Boss: di nuovo in affari – Tim, un dolce fratello maggiore
Tim è sì il fratello maggiore ma è un bambino a tutti gli effetti, ama la mamma e il papà, gioca come un ragazzino della sua età, si preoccupa del piccolo boss (lo cura, lo aiuta, lo assiste), non capisce quel business di cui il fratello minore tanto parla. Si entusiasma per tutto ciò per cui si entusiasmano i bambini – un viaggio con la famiglia, una cena fuori, rincorrersi per casa – mentre non comprende la smania di Baby Boss di lavorare, lavorare, lavorare. Se nel film il ragazzino era spaventato da quel piccolo stakanovista temendo di perdere con il suo arrivo il primato dell’amore da parte dei genitori, qui Tim si è abituato totalmente a quel dolce demone. Il bambino è ancora/di nuovo felice, vive della sua e nella sua fervida immaginazione (anche qui il “fratellone” trasforma la realtà in storie fantasmagoriche, distinte graficamente) e alla fine, proprio per aiutare e stare assieme al fratellino, è contento di partecipare alle imprese della Baby Corp.
Se per fare eco alla Pixar scrivendo storie alla Inside Out il film mostrava le paure dei bambini, essere spodestati da un nuovo arrivato e imparare cose nuove (andare in bicicletta, essere affidati ad una bambinaia), crescere insomma, Baby Boss: di nuovo in affari mostra ancora tali paure (quando vengono affidati ad una baby sitter nessuno dei due è particolarmente felice di ciò) ma si concentra soprattutto sulla famiglia, sull’amore fraterno tra Tim e Baby Boss che possono contare l’uno nell’altro sempre.
Baby Boss: di nuovo in affari: un piccolo tiranno con un cuore
Baby Boss è il fratello minore ma non è un bambino a tutti gli effetti. Il piccolo tiranno non si è addolcito infatti, sembra ancora un frugoletto ma malgrado la costipazione (tema centrale di un episodio) è pronto a comandare ugualmente come un vero leader – vuole andare al lavoro nonostante i dolori, attraverso il telefono dà indicazioni sul da farsi. Anche qui il gioco di contrapposizione tra l’aspetto da neonato e l’autorevolezza dell’uomo in affari funziona; e per lo spettatore è un paradosso il fatto che Tim chiami il protagonista “il piccolo” e questo perché sa che il neonato in realtà è un agente segreto che pensa, si muove, agisce come il più consumato dei manager.
Come un dirigente aziendale in miniatura è rigido, severo, pronto ad essere anche crudele con i suoi ma ha anche imparato l’amore (dopo aver vinto un premio interno ammette che per lui il più grande premio è vedere la gioia sul volto dei suoi “amici”), la tenerezza (quella con cui dice che ha fatto una scelta – nello scorso film – rimanendo con questa famiglia e non vuole essere lasciato con una baby sitter), la gratitudine (quando Tim e i suoi prendono il suo posto dimostra di apprezzare lo sforzo).
Vincono in Baby Boss: di nuovo in affari la squadra, quella della famiglia Templeton, della Baby Corp, la contrapposizione tra due fratelli tanto diversi ma profondamente uniti, un mix vincente tra azione e sentimento; e tutto ciò concorre a creare un buon prodotto che serve a tenere a bada gli spettatori fino al 2021 quando uscirà Baby Boss 2.