Baby: recensione della serie tv italiana Netflix
La nostra recensione del nuovo prodotto seriale italiano Netflix: Baby.
Online dal 30 novembre su Netflix, Baby è la nuova serie tv italiana anticipata da mesi di indiscrezioni e curiosità. Un’attenzione attirata dall’argomento centrale che ha, però, solo ispirato la fiction: quello delle “baby squillo” dei Parioli, caso di cronaca che ha sconvolto l’opinione pubblica nel 2014.
Prodotta da Fabula Pictures, la serie di sei puntate è diretta da Andrea De Sica e Anna Negri ed è interpretata da Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Riccardo Mandolini, Isabella Ferrari, Claudia Pandolfi, Mirko Trovato, Brando Pacitto, Chabeli Sastre Gonzalez e Paolo Calabresi. Scritta da i GRAMS, un collettivo di scrittori composto da cinque giovani autori: Antonio Le Fosse, Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol. Head writer e coautori del soggetto di serie Isabella Aguilar e Giacomo Durzi.
Baby: aspettative tradite
Una partenza certamente interessante quella di Baby con le prime due puntate che mettono sul tavolo tutte le carte di un prodotto che sembrava vincente sin dall’inizio: inquietudine adolescenziale, attrazione per il proibito, prostituzione, genitori assenti e infantili, nette distinzioni sociali. La serie racconta le vicende di Chiara, Ludovica, Camilla, Damiano, Fabio e Niccolò, figli della Roma bene, annichiliti da smartphone, noia e bullismo. Alla ricerca di attenzioni e amore, i protagonisti inevitabilmente credono di trovarli prendendo delle strade sbagliate e pericolose. Chiarito sin dall’inizio dagli sceneggiatori che la serie non sarebbe stata una cronaca puntuale dei fatti veramente accaduti, si rivela, però, essere poco interessante e intrigante, ben lontano dallo spaccato di una gioventù estrema, dal viaggio nel baratro dell’anima dei protagonisti come l’ottimo preludio lasciava intendere.
Dal terzo episodio in poi, nel momento in cui il corposo tema doveva essere sviluppato in maniera approfondita, si assiste a un semplice e scomposto teen-drama che si esaurisce senza lasciare il segno. Dialoghi stucchevoli e forzati, situazioni stereotipate – le belle, ricche, viziate ragazze “parioline”, i ragazzi futuri dirigenti superficiali e crudeli, quelli delle periferie contro il sistema e convinti di non avere un futuro – e dinamiche che vengono solo accennate. L’immersione di Chiara e Ludovica nel mondo della prostituzione si esaurisce in poche scene e senza un vero e proprio approfondimento psicologico che spieghi le ragioni profonde di una scelta così estrema. Il passaggio dai fatti al pentimento è talmente repentino da non suscitare nessuna emozione. Così, invece di un prodotto provocatorio che raccontasse senza filtri una realtà scomoda e disturbante, ci troviamo di fronte ai soliti drammi adolescenziali, di amori non corrisposti, piccole vendette e superficialità giovanile.
Baby: una serie per giovani che non ha nulla da insegnare
Lungi dal ricercare il morboso e il sensazionale, la percezione che si ha è quella di un’occasione mancata e a poco potrà servire una seconda stagione, come si intuisce chiaramente da molti argomenti lasciati aperti sul finale, se non a dilungare una serie fruibile solo da un pubblico adolescenziale al quale non ha nulla da insegnare. In primis perché non tutti, forse, anche gli stessi “pariolini”, possono riconoscersi nei protagonisti privilegiati e fuori da una vita autentica; in secondo luogo perché la vita “patinata” di Ludovica e company attira maggiormente l’attenzione rispetto al problema della prostituzione giovanile abbastanza diffuso, così come venne fuori dalle indagini ai tempi dello scandalo delle “baby squillo” e che riguarda anche fasce meno abbienti.
In Baby a rimanere alta è la qualità della regia firmata da Andrea De Sica (I figli della notte) e Anna Negri (Riprendimi): serrata, immersiva, dal respiro internazionale – un po’ “alla Sorrentino” – accompagnata dalla suggestiva colonna sonora di Yakamoto Kotzuga.