Barbari: recensione della serie TV Netflix
La nuova miniserie Netflix esplora le vicende che hanno condotto alla storica battaglia di Teutoburgo, nota per la rivincita dei popoli germanici sullo strapotere dell'Impero Romano.
I romani vincono sempre, o quasi. Sicuramente nel grande e piccolo schermo, dove sceneggiati, peplum e kolossal hanno proposto i fasti del più affascinante impero della storia umana. In verità, le sconfitte non sono mancate. Anche se si parla di battaglie più che guerre. Una di queste a Teutoburgo, nel nono secolo dopo Cristo. La “clades Variana” come fu chiamata riconoscendone le ragioni nella disfatta di Varo, governatore in Germania per ordine di Augusto. Un evento storico che, con i suoi intrecci, i tradimenti e gli inevitabili spargimenti di sangue si adatta al racconto televisivo senza richiedere troppe storpiature. È così che Barbari, nuova serie tedesca prodotta da Netflix e disponibile sulla piattaforma dal 13 ottobre, riesce a essere abbastanza accurata pur rivelandosi, oltre il sottilissimo strato di fango della bassa Sassonia riproposta in CGI, un melodramma in costume.
Della battaglia di cui in apertura a Barbari si riassumono gli eventi – premessa storica fuori tono e più documentaristica di quel che segue – c’è poco più che una manciata di sequenze nell’episodio finale, per altro sporcate dal commento fuori campo di Arminio, quota shakespeariana della vicenda, e da qualche rallenti di troppo. Eppure, questa miniserie di ambientazione germanica (“ci chiamano così perché per loro siamo tutti uguali”) è di vero intrattenimento. Le ragioni sono alla radice: il cambio di prospettiva, con i Barbari veri protagonisti.
Una serie da vedere in lingua
Non è la disfatta romana, ma la vittoria barbara. La differenza è di sostanza, tant’è che a guardare i film storici che in passato riproposero gli eventi della battaglia di Teutoburgo troviamo confermato quel romanocentrismo di cui il cinema si è fatto carico, con film come Il massacro della foresta nera, che per non raccontare l’insuccesso romano si ambienta nello scontro successivo alla vittoria Barbara, con la sconfitta definitiva delle tribù riunite. Barbari ha dunque il merito di guardare in tralice le legioni romane, portando le vicende nel cuore dei villaggi. Roma è il nemico: irrispettosa e (paradosso) incivile. Il rapporto di incomunicabilità tra le due fazioni è espresso in un piacevolissimo gioco linguistico. Consigliamo infatti allo spettatore che volesse avvicinarsi a Barbari di scegliere l’audio originale, in modo da divertirsi con dialoghi in latino e germanico. Gli interpreti chiamati a tradurre ciò che un Reik vuole riferire a un rappresentante dell’impero sono punti limite tra culture opposte.
Barbari, ma non troppo
Il processo di umanizzazione dei Barbari, slegati dall’irrispettosa retorica romana, tende a volte all’eccesso. Poco credibile è ad esempio che per gli uomini di Augusto la vita avesse meno valore che per le popolazioni Cherusci. A inficiare la credibilità è il tentativo di tracciare un confine tra buoni e cattivi. Impedisce la storpiatura definitiva il rapporto tra il vero protagonista dei sei episodi, Arminio, e Publio Quintilio Varo. Il primo, figlio del capo dei Cherusci consegnato a Roma in giovanissima età, si scontrerà con il padre adottivo dopo aver realizzato la crudeltà dell’Impero nei confronti di quello che fu il suo popolo. L’epifania è tutt’altro che felice e per nulla facile, soprattutto perché le ragioni che muovono Arminio sono drammaturgicamente solide. Non è un paladino né un idealista: le sue azioni cambiano nel corso delle vicende per gelosie personali, aspettative disattese e, neanche a dirlo, amore. Il gioco di potere instaurato tra i due svela a poco a poco un figlio di più culture, tormentato dall’ambiguità di simboli opposti (il lupo: protettore per i romani ma carnefice per i barbari) e obbligato in ogni caso a un tradimento: proteggere il villaggio natio o abbracciare del tutto i costumi romani?
Barbari avanza per scelte impossibili. Decidere chi amare, chi abbandonare, chi uccidere costituisce un percorso che tiene salda l’attenzione, anche nei momenti più prolissi. L’azione serrata è invece riservata a poche scene e troppo spesso affidata alle parole più che allo schermo. Significativa in tal senso la sequenza alla Ocean’s Eleven, con un personaggio che racconta il piano per rubare il vessillo dell’accampamento romano mentre questo viene realizzato.
Barbari è in un certo senso un grande preambolo. L’anticipazione della battaglia nei titoli di testa del primo episodio setta la meta: qui si arriva, ma come? Alla serie alcune possibili (probabili?) risposte. Tra i conduttori delle vicende anche una coppia tragica. Lei, figlia di un signore dei Cherusci, promessa sposa al Reik di un altro villaggio. Lui, un guardia spade dal cuore buono. Thusnelda è per altro un personaggio storicamente riconosciuto e nelle vicende condivide con Arminio un cambio di rotta drastico e avvincente. È la guerriera barbara di cui seguiamo l’arco narrativo con più passione. Con lei inoltre uno spacco non indifferente sulla cultura e la religione di popoli spesso limitati dallo sguardo romano. Le scene di riti o preghiere sanno stupire, anche se, per fotografia e messa in scena, soffrono ora il confronto con un’altra serie di tribù e fango: Romulus, di Matteo Rovere. Paragoni a parte, Barbarians si ritaglia di diritto uno spazio interessante nel catalogo Netflix, appassionando i cercatori di romanzi storici e, magari, qualche orfano delle vicende politiche e umane de Il trono di Spade.