Beat – stagione 1: recensione della serie tv Amazon
Beat ci porta nel mondo della techno berlinese facendo leva su ottimi interpreti e una buona sceneggiatura.
Il 9 novembre il catalogo Amazon Prime Video (il servizio streaming incluso nel pacchetto Amazon Prime), si è arricchito con la prima stagione completa di Beat, la serie tv tedesca Prime Original diretta da Marco Kreuzpaintner e composta da 7 episodi.
Beat, oltre a liete sorprese come Jannis Niewöhner (nel ruolo del protagonista) e Karoline Herfurth, vanta un cast con stelle del cinema tedesco come Christian Berkel e Alexander Fehling, reduci da ruoli importanti come i nazisti in Bastardi senza Gloria di Quentin Tarantino.
Beat, l’uomo di Berlino protagonista della serie tv
Robert Schlag (Niewöhner), in arte Beat, è il promoter più famoso del panorama techno di Berlino, ma non solo questo. Beat è l’uomo dei bisogni, capace di soddisfare qualsiasi voglia di ospiti, artisti e pezzi grossi invitati al club per cui lavora.
Nonostante una vita in mezzo alla gente, alle droghe, agli eccessi, ma soprattutto all’insegna della musica techno (che il ragazzo paragona addirittura al battito del suo stesso cuore), Beat è alla ricerca di qualcosa in più, di un’esistenza che rispecchi i suoi ideali di amicizia e uguaglianza. Elementi che riesce a trovare solo sulla pista da ballo del club, dove tutti sono uguali e tutti condividono i propri sentimenti, in maniera libera e totale.
I Servizi Segreti Europei hanno bisogno di una talpa, un infiltrato per incastrare uno dei più grandi trafficanti di armi del mondo, un certo Philipp Vossberg (Fehling), da poco il nuovo co-proprietario del club di Paul (guarda caso!), lo stesso in cui lavora Beat. Dunque la scelta dei due agenti Emilia (Herfurth) e Richard (Berkel) non può che ricadere sul ragazzo, dati i suoi contatti e la sua conoscenza del “sottomondo” della capitale tedesca.
Tutto si sarebbe aspettato Beat, accettando la richiesta dei due agenti, tranne che scoperchiare il vaso di Pandora sul suo passato e su tutte le sue così apparentemente ferree convinzioni sulla vita e sul mondo.
Beat: una serie tv variegata che si destreggia tra thriller, noir e spystory
La sceneggiatura di Beat è ampia e variegata. Riesce a tessere dei fili complessi in modo semplice ed efficace, lasciando allo spettatore veramente poche sbavature da notare, forse solo una. Ma, oltre al thriller che si intreccia con il noir e la spystory, il collante ed elemento più coinvolgente della trama è la figura di Beat, il protagonista.
Il giovane promoter berlinese, oltre ad essere il costante ago della bilancia che regola gli eventi della trama, affascina per il suo faticoso e violento cambiamento durante lo scorrere della serie, dando vita ad un’Odissea moderna, dagli ambienti psichedelici delle feste underground fino all’infanzia di un bambino abbandonato in un grigio orfanotrofio. Si perché il viaggio di Beat è soprattutto avanti e indietro nel tempo, il luogo è Berlino, splendida coprotagonista della serie.
Beat viene scelto dall’agente Richard per via del suo essere un’idealista convinto. Un ragazzo che ha dovuto costruirsi la sua armatura da solo, cercando dentro di sé i mezzi e le armi per affrontare il mondo. L’equilibrio (precario) lo trova nel mondo della techno, il filo che tiene unita la sua vita. Le amicizie, il lavoro e la famiglia ballano al ritmo del locale berlinese, una casa, una cattedrale, più che una fonte di guadagno.
Quando questo luogo sacro viene violato Beat dovrà imparare che il male è insito nel bene e viceversa se vuole sopravvivere al gioco perverso nel quale, suo malgrado, è capitato. Dovrà recuperare i sani principi che lo hanno tenuto in piedi nonostante le sue scelte e rimettere in discussione la sua vita e il modo in cui ha deciso di viverla… E dovrà farlo in fretta.
Beat e il mondo della techno berlinese
Il cast compie un ottimo lavoro e riesce a riempire in tutto e per tutto ogni parte della trama, ma anche l’occhio vuole la sua parte. Il regista Marco Kreuzpaintner ha a disposizione un palcoscenico sensazionale come la città di Berlino e sà benissimo che il suo compito è quello di ridare al pubblico un’atmosfera già magica di per sé.
Ebbene la scelta di contrapporre colori freddi e paesaggi luminosi agli interni delle feste e degli hotel in cui si muovono i protagonisti risulta assolutamente vincente. Riuscendo benissimo a trasmettere l’idea di due mondi separati: uno in superficie, dove si muove la società, con i suoi egoismi e le sue differenze, e uno sotterraneo, sede dell’uguaglianza, della libertà e degli eccessi.
Quest’ultimo mondo è quello della techno berlinese, un ecosistema molto ricco al giorno d’oggi e rappresentato nella serie in modo molto azzeccato. L’idea della festa dove girano alcool, sesso e droga si tramuta pian piano in una cerimonia, in un rituale collettivo, come se ci si trovasse all’interno di una chiesa. Questo restituisce grande dignità a quella che ormai è diventata una vera e propria sottocultura ed è giusto ed interessante rappresentarla come tale, se si vuole, se non farla capire, almeno pulirla da inutili luoghi comuni.