Beauty in Black: recensione della serie TV Netflix

Scritta, prodotta, ideata e diretta da Tyler Perry, Beauty in Black è disponibile su Netflix con i primi otto episodi (sono sedici in tutto) a partire dal 24 ottobre 2024.

Beauty in Black appartiene a Tyler Perry in un modo, intimo e viscerale, che ha pochi paragoni. L’ha ideata, l’ha diretta, l’ha sceneggiata e, perché no, è anche produttore esecutivo. Mancherebbe un tassello per completare il quadro del controllo totale sul progetto, dal momento che il filmaker americano di solito è anche interprete – il suo personaggio più famoso e controverso, al cinema e non solo, è quello dell’afroamericana Mabel “Madea” Earlene Simmons – ma qui tira il freno a mano. Lui, nel cast della serie, sedici episodi su Netflix divisi in due parti, i primi otto il 24 ottobre 2024 e i restanti nella primavera del 2025, non c’è. Non avrebbe trovato spazio, perché Beauty in Black è una serie affollata, piena di personaggi, di linee narrative e di situazioni potenzialmente esplosive. In scena lo sostituiscono, tra gli altri, Taylor Polidore Williams, Amber Reign Smith, Crystle Stewart, Ricco Ross. È la storia delle fatiche e degli ostacoli che ogni donna incontra lungo il cammino, raccontata dalla vita di due donne agli antipodi sotto molti punti di vista ma destinate a incontrarsi. E forse a scontrarsi.

Beauty in Black: Kimmie e Mallory, agli antipodi e insieme così simili

Beauty in Black cinematographe.it recensione

Se è vero che Beauty in Black è la storia di due donne, il minutaggio e la centralità riservati alle protagoniste, che sarebbero Taylor Polidore Williams e Crystle Stewart, non è esattamente lo stesso. Per affinità spirituali o per sintonia di background, Tyler Perry sceglie di raccontare la sua storia principalmente dal punto di vista della prima. Kimmie (Taylor Polidore Williams) non ha avuto, non ha ancora, una vita facile. Cacciata di casa all’età di 18 anni da sua madre, ha trovato conforto nell’amicizia di Rain (Amber Reign Smith), poco più grande di lei ma più esperta e smaliziata. Rain è l’unica amica e il punto di riferimento nella vita di Kimmie. Fatica a sbarcare il lunario, il lavoro in uno strip club non è abbastanza e le tocca di arrotondare con metodi eticamente discutibili e molto pericolosi. Kimmie è una donna della classe media, media ma rivolta verso il basso, ai margini della società e con poche (lecite) possibilità di risalire la china.

All’estremo opposto dello spettro sociale Tyler Perry va a cercare la sua coprotagonista e lì trova Mallory (Crystle Stewart). Mallory è l’emblema della nuova donna afroamericana: è uscita dal ghetto, ha messo all’angolo la miseria, è piena di soldi, fama e bellezza. È sposata con Roy (Julian Horton) e all’apparenza – è sempre questione di apparenze – ha il matrimonio perfetto, una favola contemporanea costruita su una solida sintonia sessuale, un sentimento incrollabile e una partnership commerciale di successo. Mallory e Roy sono a capo di una grande multinazionale della bellezza (cura dei capelli, per essere precisi) che si chiama, appunto, Beauty in Black, il punto di riferimento e il sogno di tantissime donne americane. Ma è solo fumo negli occhi, la vita perfetta di Mallory. In che modo queste due donne così diverse materialmente ma così vicine spiritualmente arriveranno a convergere, è meglio non spoilerarlo.

Succede qualcosa a Rain che espone Kimmie e, indirettamente, anche Mallory. Si tratta, a questo punto, di lottare per la sopravvivenza, muovendosi al limite tra legalità e illegalità. Beauty in Black è la storia delle fatiche, delle difficoltà e degli ostacoli che una donna incontra nel suo cammino – in un’America caotica, avida e violenta che è la cristallizzazione e il riflesso di ogni società – raccontata con stile esuberante e un gusto spiccato per lo storytelling frenetico. Nel mezzo emozioni forti, colpi di scena e verità che si sdoppiano in maniera spesso incoerente e troppo superficiale. Parte thriller, parte melodramma, parte critica sociale, ma senza la coerenza e lo spessore che servono a portare la complessità della storia verso qualcosa di diverso da un intrattenimento urlato e fragile.

Una serie che si pone le domande giuste ma poi non sa che farsene

Beauty in Black cinematographe.it recensione

Il giudizio va pesato e calibrato sull’incompiutezza del progetto. Beauty in Black è una storia divisa in due parti e questa è l’analisi sommaria della prima parte del viaggio; come tale va accettata, senza sminuirla ma neanche sopravvalutandone il carattere definitivo e inappellabile. C’è ancora molto da scoprire, del percorso di Kimmie, Rain e Mallory, ma qualche punto fermo è possibile rintracciarlo già da ora. Un’idea interessante di Tyler Perry, nella costruzione della storia e nella definizione della psicologia dei personaggi, è di raccontare il capitalismo come stato mentale – un’ossessiva attitudine al profitto e alla richezza, costi quel che costi – prima ancora che come struttura e sistema economico. Nel mondo di Beauty in Black non esistono limpide distinzioni morali tra Bene e Male; solo una sfrenata volontà di arricchirsi, senza remore e senza esclusione di colpi.

Il denaro è carne, letteralmente: un’estensione del corpo delle protagoniste, talmente pervasivo e opprimente nella sua influenza su ogni aspetto della vita – materiale, spirituale, sentimentale – da condizionarne l’evoluzione. Tutto è in vendita, tutto è suscettibile di oltraggio o trasformazione, per giusto qualche dollaro in più. Il corpo è l’arena della battaglia, da modificare e oltraggiare per soddisfare i desideri e le proiezioni erotiche altrui. Tyler Perry costruisce l’impalcatura di Beauty in Black su due interrogativi. Il primo: quanta integrità si può sacrificare, pur di realizzarsi? Kimmie e Mallory sono il risvolto della stessa medaglia. In apparenza così lontane, per stile di vita e grado di successo, in realtà sono una sola donna divisa in due. Povera e ricca, amata e ignorata, in entrambi i casi tremendamente infelice perché c’è sempre qualcuno a decidere per lei (per loro).

Il secondo interrogativo, diretta conseguenza del primo, più sottile e più interessante, anche se non adeguatamente servito dalla storia, è: il punto di rottura, esiste? Quanto a lungo si può degradare il corpo e mortificare l’anima nel nome del profitto? Nel mondo moralmente obliquo della serie forse solo Kimmie conserva una parvenza di bussola morale. La sua lotta per la sopravvivenza, le sue scelte al limite, mantengono un’integrità di fondo non compromessa dalle circostanze. Peccato che a Tyler Perry le domande interessino solo in un senso estremamente sbrigativo e superficiale. Come miccia, insomma, per un intrattenimento sopra le righe che allude a temi e idee di un certo spessore senza la minima voglia di scendere in profondità, cadendo vittima della stessa superficialità plastificata che attanaglia la vita dei personaggi e finendo per autosabotarsi. I colpi di scena e la patina thriller, derivativi e senza originalità. Il sentimentalismo e l’esasperazione delle linee narrative più vicini alla soap opera (esagerata e viscerale) che al melodramma, la critica spociale sterile. Se l’idea, com’è il caso, è quella del puro intrattenimento, si poteva osare di più.

Beauty in Black: conclusione e valutazione

Beauty in black - Cinematogrpahe.it

Il punto di forza di Beauty in Black, suggerisce Tyler Perry, va cercato fuori scena, nel valore produttivo di una serie e un immaginario afroamericani al 100% e venduti in tutto il mondo. Ma fermarsi a questo sarebbe come parlare di un fiume limitandosi a dare un’occhiata alla sorgente e disinteressandosi del resto. Beauty in Black è un dramma dai risvolti thriller poco interessato a staccarsi dai confini di un intrattenimento urlato, caotico e non così incisivo. Resta la speranza per la seconda parte, gli otto episodi conclusivi, perché delle fatiche e delle sfide che una donna deve incontrare nel corso della sua vita qui c’è solo l’ombra, spettacolare e molto intensa, ma sempre e solo l’ombra.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3

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