Bella da morire: recensione dei primi episodi della fiction Rai
La recensione dei primi episodi di Bella da morire, la fiction Rai con Cristiana Capotondi in onda da domenica 15 marzo 2020.
Va in onda domenica 15 Marzo su Rai Uno la miniserie Bella da morire con protagonista Cristiana Capotondi, Matteo Martari e Lucrezia Lante Della Rovere, realizzata da Rai Fiction insieme a Cattleya e diretta da Andrea Molaioli (Suburra – La serie, Suburra 2, La ragazza del lago).
La miniserie composta da quattro episodi, che andranno in onda in quattro serate, si concentra sulle indagini dell’ispettrice di polizia Eva Cantini (Cristiana Capotondi) sul caso di Gioia Scuderi (Giulia Arena), ragazza affascinante e misteriosamente scomparsa. Eva è da poco tornata nella sua città natale e si occupa da sempre di femminicidi.
Non è facile per lei farsi spazio nel commissariato di polizia dove è giunta da poco: può contare sulla complicità con l’ispettore Marco Corvi (Matteo Martari), con cui c’è più di un’affinità lavorativa, ma deve farsi valere in un commissariato composto solo da uomini. Ad aiutarla nella risoluzione del caso ci sono anche il medico legale Anita Mancuso (Margherita Laterza) e la procuratrice Giuditta Doria (Lucrezia Lante Della Rovere), anche loro determinate a rendere giustizia alla vita di Gioia.
Bella da morire: la trama dei primi due episodi
Nel primo episodio Eva Cantini è appena arrivata a Lagonegro, suo paese natale in cui torna per aiutare sua sorella Rachele (Benedetta Cimatti), madre svampita e un po’ distratta a cui cerca di trasmettere un senso di responsabilità. Al suo ritorno si trova ad affrontare il caso di Gioia Scuderi, la ragazza più bella del paesino e misteriosamente scomparsa, e che lei aveva incrociato per caso qualche giorno fa.
Entrata nel nuovo commissariato di polizia, segue il caso con l’ispettore Matteo Corvi, un ex compagno di scuole elementari ancora innamorato di lei. Eva fa molto fatica a far comprendere che bisogna intervenire concretamente nelle prime ore della scomparsa della ragazza, perché sa bene che una donna non sparisce senza motivo. Poco dopo infatti, il corpo di Gioia è ritrovato nelle profondità del lago.
Nel secondo episodio Eva ancora non riesce a fare luce sul caso di Gioia. Da questo momento in poi Eva può contare sul sostegno non solo di Marco, ma anche del procuratore Giuditta e sullo stravagante medico legale Anita, che inizia a ricostruire dall’autopsia dati importanti sulle ultime ore di vita di Gioia. Intanto da alcune ricerche effettuate il primo sospetto cade su un immigrato, su cui tutto il paese si avventa proclamandolo colpevole, ma il ragazzo ha un alibi. Eva però riesce a salvare la situazione prima che possa degenerare, e salvare due vite in pericolo.
Una fiction crime per fare luce su uno scottante tema di attualità
Andrea Molaioli è un regista noto al grande pubblico, e nel genere crime ci sguazza anche bene avendo alle spalle la regia delle due serie di Suburra. Qui gioca in casa Rai, e ovviamente il tutto deve essere adeguato ad un preciso pubblico di riferimento, per quanto la stessa Suburra rispetto ad altri prodotti Netflix o pensando a Gomorra, presenta degli andamenti registici un po’ più classici e sicuramente meno ricercarti.
In Bella da morire ci troviamo nel pieno ritmo di narrazione tipico della fiction: una sceneggiatura semplice, chiara e senza troppi intrighi, che vuole parlare di un tema importante, scottante come quello del femminicidio e riesce a farlo senza troppa retorica. A Cristiana Capotondi, da sempre in prima linea nel farsi carico di lavori televisivi e cinematografici che affrontano tematiche attuali, è affidato il compito di farsi portavoce, a volte con una recitazione troppo calcata, di tutti quei casi su cui è necessario soffermarsi e riflettere, perché nulla deve restare nel silenzio.
Il paesaggio circostante è la location ideale: un paesino apparentemente silenzioso dove tutti sanno ma parlano solo se interrogati. Il dictat della miniserie è certamente quello di lasciare il silenzio alla natura, agli abissi, ma non tra chi può dare un contributo importante allo scioglimento del caso.
E le donne da questo punto di vista sono le protagoniste indiscusse, a cui si è data anche una maggiore caratterizzazione che riesce a rendere i personaggi un po’ più di un cliché: più di tutte proprio Anita, medico legale surreale che con i cadaveri ci parla anche, che offre nelle sue scene un umorismo che deve sempre restare contenuto e adeguato all’atmosfera.