Benvenuti a Eden ‒ Stagione 2: recensione della serie TV Netflix
Dal 21 aprile torna con una seconda stagione il teen drama sci-fi Benvenuti a Eden, un nuovo capitolo che non intriga quanto il precedente ma che rimane inspiegabilmente un ottimo prodotto da binge watching.
Era più che certo che Benvenuti a Eden ricevesse l’ok di Netflix per una seconda stagione (ed eccola infatti arrivare in catalogo dal 21 aprile 2023). D’altronde, a vedere gli ultimi istanti dell’ottavo episodio del primo capitolo (qui la nostra recensione), si intuiva già in partenza come la serie spagnola ideata da Joaquín Górriz e Guillermo López Sánchez fosse pensata in più capitoli, sospesa in quel cliffhanger di tentata e fallita evasione che riposizionava la sua eroina principale Zoa (Amaia Aberasturi) al punto di partenza: pensare a come evadere dall’isola, convincere il resto della Fondazione che Astrid (Amaia Salamanca) ed Erick (Guillermo Pfening) non erano i beniamini del Paradiso in terra come facevano credere e soprattutto tenere protetta la sorellina Gabi (Berta Castañé), appena sbarcata assieme ad altri giovani ingannati in cerca di divertimento.
Benvenuti a Eden: al punto di partenza e senza risposte
Noi spettatori d’altro canto, attendevamo di capirne di più riguardo l’origine del progetto ambientalista messo in piedi dalla coppia ideatrice di sedicenti santoni: avere qualche risposta che potesse quantomeno assecondare o indirizzare le teorie che ci eravamo fatti guardando la prima stagione a maggio dello scorso anno e sperare di trovare una seconda più matura, che approfondisse a dovere il tema del malessere giovanile e le risposte di accettazione cercate in altre forme di comunità all’infuori di quella familiare.
Nulla di tutto questo. La seconda stagione di Benvenuti ad Eden rimette in campo la sua ormai evidente incapacità di manovrare e rendere credibile la commistione fra l’ambizioso genere del survival sci-fi con la lotta fratricida in nome del più forte immersa in una natura selvaggia e ancestrale dell’Isola (meravigliosa) di Lanzarote, e le dinamiche più teen/sentimentali che trovavano un punto di svolta attraverso i legami e gli innamoramenti che venivano formarsi fra i membri considerati “veterani”, dunque più fedeli ad Astrid, e quelli “giovani” sorretti invece da uno spirito più ribelle.
Lei che bacia lui che bacia lei
La relazione sempre più profonda fra Zoa e Bel (Begoña Vargas) infatti, viene teoricamente usata dagli sceneggiatori come perno narrativo attorno cui tentare finalmente un’evasione collettiva, filtrando attraverso la dolorosa esperienza della prima nel veder la sorella Gabi nello stesso fatale destino, la miccia di una presa di coscienza collettiva condivisa fra tutti i ragazzi e le ragazze su Eden, scuotendoli e facendogli aprire gli occhi sui delitti, i complotti, il male insomma che vi era dietro quella prigione dorata. È un momento che a un certo punto accade, ma viene messo in scena con una frettolosità e una poca cura nell’enfasi che sinceramente lascia davvero sbigottiti.
Quel bivio fondamentale sancisce infatti la caduta perentoria di una serie davvero mai all’altezza delle sue premesse, che delude e si limita ad accennare in flashback rarissime informazioni ulteriori sul passato di Astrid e l’ideologia del visionario padre fondatore, suggerendo (forse) un contatto alieno e celeste che più che affascinante cade nel ridicolo.
Sopperendo a una mancanza di peso specifico del prodotto che propone, Benvenuti ad Eden 2 infarcisce più di prima ogni episodio con scene di sesso bollenti (?) incautamente alternate in montaggio a violenze e attimi premorte; aggiunge abbondanti flirt e nudità gratuita perlopiù femminile; ricambia personaggi e ne fa fuori inspiegabilmente degli altri se non per la volontà degli attori stessi; mostra il fianco soprattutto nella scarsa resa recitativa dei suoi acerbi interpreti.
Benvenuti a Eden è una serie tv mai all’altezza della sua ambizione di mixare teen e sci-fi. Ma rimane (inspiegabilmente) attraente.
A Benvenuti a Eden non c’è via di mezzo, o sei buono o sei cattivo; ma c’è altrettanta incoerenza fra una scena e l’altra che rende limpida la poca attenzione e cura sfuggita in scrittura agli sceneggiatori. A quei pochi personaggi che meriterebbero più spazio, che vorremmo cioè conoscere meglio, capire perché in loro vi è l’essenza di un racconto che dovrebbe interessarsi (oltre che a svelare i meccanismi psicologici da setta religiosa) anche alle potenzialità umane dei giovani e alla loro risposta alla violenza degli adulti, vengono relegate a poche e insoddisfacenti scene, uccisi letteralmente da loro stessi coetanei senza che il gesto scaturisca in questi il minimo sdegno. Perché, viene da chiedersi, sono ancora così tutti fiduciosi nel progetto dopo tutto ciò che hanno visto e vissuto?
Detto questo però una cosa la serie Netflix la sa fare e anche bene. Nonostante opti per scelte sbagliate, risulti grossolana nella qualità, non appaghi la curiosità di chi guarda, si annacqui nella superficialità pruriginosa di sequenze e traiettorie spinte à la Élite, rimane un prodotto che inspiegabilmente attrae in un binge watching sfrenato che non meriterebbe affatto, ma che dimostra come a volte anche quanto tutto è scombinato c’è una calamita di attrazione che non si può frenare. Se ci sarà una terza stagione, quindi, la guarderemo. Ma senza dirlo a nessuno.