Black Spot – Stagione 1: recensione della serie tv
Una serie tv dal finale sconvolgente, a metà tra il filone poliziesco e quello esoterico.
“Crime by nature”, così si presenta Black Spot, la serie tv di otto episodi del 2017 di produzione franco-belga – in Italia prima è stata distribuita da Amazon Prime poi la si può trovare anche su Netflix -, il cui nome originale è Zone Blanche, creata da Mathieu Missoffe e diretta da Thierry Poiraud, insieme a Julien Despaux. Si racconta la storia della cittadina Villefranche, sperduta nella foresta con un tasso di omicidi sei volte superiore alla media nazionale. La prima stagione ha come storia orizzontale la sparizione della figlia del sindaco, mistero su cui indaga Laurène Weiss (Suliane Brahim) assieme all’amico e poliziotto “Nounours” (Hubert Delattre) e al procuratore distrettuale Franck Siriani (Laurent Capellutto).
Black Spot: il racconto di un’inquietante zona bianca
Una foresta, corvi che imperterriti osservano la natura e gli individui e molti crimini irrisolti fanno da sfondo a questo crime, spaventoso e inesorabile. Sarà il terreno, gli alberi che schermano il mondo, una cittadina isolata a rendere Villefranche una zona bianca appunto, come dice il titolo originale. La comunità vive in una sorta di campana di vetro: le comunicazioni e l’elettronica in generale soffrono di strani malfunzionamenti.
Proprio in questo contesto, alla Twin Peaks – per l’atmosfera, per i boschi profondi, avvolti nella nebbia, per gli omicidi che sembrano avere del sovrannaturale -, accadono situazioni impensabili, morti surreali, sparizioni inspiegabili: basti pensare che la polizia deve far fronte a 37 omicidi irrisolti – proprio per questo e per capire come stanno veramente le cose, arriva un nuovo supervisore. Tutto, come già detto, inizia con la scomparsa della figlia del sindaco di cui si sono perse le tracce ormai da settimane e la polizia brancola nel buio. Sullo sfondo c’è anche la guerra sotterranea contro le politiche del sindaco (proprietario della locale segheria).
Una delle poche che sembra interessarsi di queste sparizioni è Lauréne che ha il ruolo della “guardiana della città”, nata e vissuta a Villefranche, sensuale, intuitiva e inquieta al tempo stesso, come la figlia, Cora ribelle e spirito libero quanto lei. La donna si spende con forza e caparbietà e questo forse anche perché lei stessa, molti anni prima, era rimasta vittima del bosco tornando “nel mondo” in fin di vita e senza due dita. Cosa le è successo? Perché non ricorda nulla di ciò che le è accaduto?
Black Spot: Lauréne, una guardiana di un mondo triste e disumano
Molta della forza di Black Spot si concentra proprio sul personaggio del maggiore: Lauréne è una donna spigolosa, quasi algida all’apparenza, ma non si tira mai indietro, è dedita al lavoro totalmente e sotto ogni aspetto – in più di un’occasione la vediamo piangere, disperarsi perché i casi non vanno come dovrebbero. Rientra in quella ridda di personaggi tipici di un certo tipo di serie tv di stampo crime: al mutismo corrisponde un grande lavorio della mente, alla freddezza esterna una grande sensibilità interna.
Sembra un personaggio quasi statico, parla poco, non si apre a chi le sta intorno – dal punto di vista narrativo il suo arco non cambia di molto -, però è sempre in movimento: la donna batte il territorio in cerca della ragazza – è una storia che le sta a cuore, si rivede in lei e la figlia del Sindaco è molto amica di sua figlia -, e oltre a questo è costretta ad occuparsi anche di tutti gli omicidi che continuano a sporcare di sangue la cittadina.
Black Spot non rientra nelle serie da binge watching, e questo perché il ritmo con cui tutto accade – storie orizzontali e verticali – è lento, le cose si scoprono un po’ alla volta, senza fretta, con la stessa velocità con cui gli indizi si trovano, con cui si mettono in relazione rapporti e legami; spesso infatti la polizia non arriva in tempo, si lascia scivolare dalle mani le situazioni. Proprio questa lentezza alle volte infastidisce lo spettatore come infastidiscono alcuni vuoti narrativi – ad un certo punto Lauréne perde i contatti con la figlia; ciò che è chiaro è che Black Spot tenta temi e stili nuovi mantenendo una propria originalità e estetica europea.
Black Spot: un racconto affascinante e inesorabilmente lento di un mondo in cui nessuno è salvo
Black Spot vive di due filoni, uno poliziesco e l’altro esoterico/simbolico; oltre ad essere un racconto di morti e di morte – che non fa sconti allo spettatore con un iperrealismo che può turbare i più deboli di cuore – è anche una narrazione che fa parlare la natura, una natura spesso maligna, brutale, ma che cerca di dare degli indizi all’uomo – che spesso non comprende e quando comprende fa finta di niente – e che spurga sangue e mistero. Lauréne è profondamente connessa alle forze naturali come se quell’incontro di vent’anni prima le avesse legate in maniera indissolubile e incomprensibile; la donna è accompagnata da sensazioni e premonizioni, anch’esse incomprensibili, che si moltiplicano intorno a lei. L’atmosfera brumosa di quel bosco in cui si scompare, in cui ci si toglie la vita – o almeno così sembra -, appesi agli alti alberi, diventa quasi un personaggio di questo tristo e marcio testo del disagio umano. Se gli alberi con le loro lunghe braccia si stringono intorno ai cittadini, anche gli animali sono compagni di avventura di questo “organismo” strano che è Villefranche, un punto purulento e nero nonostante la sua natura di zona bianca: i corvi, alla Hitchcock, forieri di presagi mortiferi, dimostrano con la loro sola presenza che il male è lì, pronto a “succedere”; i lupi, muti, guardiani dei boschi, indirizzano il maggiore verso ciò che cerca.
La serie si fa teatro degli orrori, un teatro in cui nessuno sembra essere salvo, le persone perdono la testa, un teatro in cui ogni cittadino ha dentro una concrezione di “naturale” rabbia e livore. Il finale di questa prima stagione è sconvolgente, un cliffhanger che fa ben sperare nella seconda stagione – su Netflix dal 14 giugno 2019.