Blood Sisters: recensione della serie Netflix
Blood Sisters è una miniserie che, nonostante qualche problema legato alla sceneggiatura, riesce a tenere ben legato a sé lo spettatore.
Due donne scavano una buca sul ciglio della strada e fanno rotolare al suo interno un corpo avvolto in un lenzuolo; questo è l’inizio e il centro di Blood Sisters, la prima miniserie nigeriana Netflix – dal 5 maggio 2022 sulla piattaforma -, diretto da Biyi Bandele (Half of a Yellow Sun, Fifty) e Kenneth Gyang (Òlòtūré, Confusion Na Wa). La serie, composta da quattro episodi, racconta la storia di Ini Dima-Okojie e Nancy Isime che interpretano rispettivamente Sarah e Kemi, migliori amiche che si trovano, improvvisamente catapultate in un mondo da incubo, dopo che Kemi, il giorno del matrimonio, per proteggere l’amica ha ucciso il fidanzato violento di lei, Kola Ademola (Deyemi Okanlawon). Da quel momento nulla sarà più lo stesso e le due donne dovranno scappare per non essere prese dalla polizia e per non subire la vendetta della famiglia di Kola, la celebre e potente famiglia Ademola. Blood Sisters è una storia di amicizia e d’amore tra due donne, sorelle come dice il titolo, di rinascita e di emancipazione, ma anche di sangue che scorre denso su ogni cosa.
Blood Sisters: il racconto di una fuga
Fin dal primo episodio, Blood Sisters entra nel dramma, quello di una donna che sta sposando chi non ama, chi dietro la facciata di uomo perfetto nasconde ombre terribili, quello di una famiglia disfunzionale, pericolosa, ferita nel profondo, quello di un’altra famiglia, quella di Sarah, che crede di poter cambiare la propria vita imparentandosi con i ricchi e influenti Ademola. Si tratta di un dramma potente e lacerante e cosa c’è di più doloroso di vedere la madre dello sposo che disprezza i consuoceri, di vedere una giovane che sta tentando di disintossicarsi ma che si scontra con una famiglia poco “collaborativa”, di vedere un uomo che per gelosia picchia selvaggiamente la fidanzata arrivando a stringerle le mani al collo per ucciderla. Si mettono subito sul tavolo alcuni degli elementi cardine della miniserie, la violenza e gli abusi domestici, la rivalità familiare e la corruzione sistemica, elementi che si evolveranno lungo i quattro episodi. Lo show si costruisce proprio sulle due donne, Sarah e Kemi, amiche, quasi sorelle, che cercano un loro posto nel mondo, un luogo sicuro e libero in cui prendersi cura l’una dell’altra e prendersi cura anche di sé stesse. Lo spettatore segue le avventure delle protagoniste che di minuto in minuto si fanno più pericolose nel tentativo di nascondere il cadavere, fuggire da chi le cerca, tentare di salvarsi; ma è tutto molto difficile quando ogni cosa è contro di te, quando il destino sembra essere avverso. L’approccio della serie è quello di lavorare sull’emotività e sul dramma che non manca mai, punto fermo di Nollywood (industria cinematografica nigeriana) che conquista il pubblico e riesce a rendere interessante lo spettacolo per quasi quattro ore.
Un universo di donne che si dibattono ciascuna per il proprio scopo
Intorno alle due donne, spaventate, impaurite, ci sono molti altri personaggi che ruotano e si fanno strada tra le ombre scure di un universo altrettanto scuro. Ci sono gli uomini che spesso sono violenti sì ma privi di carattere, sono desiderosi di ottenere danaro, potere, successo ma poi in realtà sono mediocri e inadatti, quando invece sono personaggi positivi inciampano nella mala sorte o devono scendere a patti con sé stessi e con il mondo circostante. Sono le figure femminili ad avere un ruolo fondamentale nel corso della storia. C’è la mamma adorante di Kola, Uduak Ademola, che è una leader nata e rientra nel topos narrativo della madre cattiva. Se è dolce e comprensiva con il figlio prediletto, con gli altri due è crudele, denigratoria, li umilia, palesando le fragilità, i nei, gli errori di entrambi. Sapeva perfettamente come Kola si comportava con la futura moglie, e, nonostante ciò gli dava man forte, portando avanti una narrazione malata e disturbante: era lei che sbagliava, lei si meritava quelle botte. C’è poi la sorella di Kola, Timiyen, tossicodipendente, sta cercando di disintossicarsi ma è chiaro che questo suo disagio deriva dal rapporto con la madre e con il padre e a poco a poco la verità emerge. Lei viene mandata via, rinnegata proprio perché rappresenta la donna che esce dai binari, sbaglia, trattata da “tossica” perfino dai suoi famigliari, le viene continuamente detto “non ce la farai a rimanere pulita” e addirittura sia la madre che il fratello utilizzano queste parole contro di lei, per ferirla e per comprare i suoi favori. L’ultima donna è Olayinka, la moglie di Femi, il più grande dei fratelli, uomo senza nerbo e senza qualità che vive nell’ombra di Kola in attesa di poter prendere il suo posto – come in una tragedia greca o in una shakespeariana, la rivalità tra i fratelli è tangibile o, per meglio dire, Femi soffre il fratello minore che ha tutto ciò che per età dovrebbe avere lui. Olayinka sembra essere una sorta di Lady Macbeth, spietata e priva di morale, spinge il marito a prendersi il posto che gli spetta. Crudele come una belva feroce si nutre delle carcasse altrui, si ciba delle fragilità degli altri, desiderosa solo di danaro e potere; è lei la vera leader nella coppia, è lei che finge di piangere la morte di Kola ma poi con un ghigno beffardo già immagina il ruolo che ricoprirà/potrebbe ricoprire il marito. Olayinka gioca l’arma della seduzione, attira il marito come una maliarda, con ogni centimetro del suo corpo, fasciata da abiti meravigliosi che la rendono una sensualissima e elegantissima guerriera che ambisce anche con l’apparenza al successo e al potere.
Queste donne si muovono, camminano e vivono della loro luce, sia essa simbolo di sensibilità, crudeltà, desiderio, non hanno bisogno di uomini, anzi nei momenti fondamentali sono loro ad avere la meglio, a decidere, a mettere la parola fine.
Blood Sisters: una miniserie che grazie al suo cast riesce a coinvolgere
Blood Sisters è una miniserie che, nonostante qualche problema legato alla sceneggiatura, riesce a tenere ben legato a sé lo spettatore. Sappiamo chi sono le colpevoli, sappiamo le motivazioni per cui Kola viene ucciso, eppure la suspense è un elemento fondamentale intorno a cui si costruisce la serie stessa. I vuoti narrativi vengono riempiti dalla bravura degli interpreti che ben incarnano i loro personaggi.