Bodkin: recensione della serie Netflix
La recensione della serie ideata dallo scrittore britannico Jez Scharf e co-prodotta da Barack e Michelle Obama, disponibile su Netflix dal 9 maggio 2024.
Il true-crime si sa va per la maggiore e allora perché non battere il ferro finché è caldo. A questo avranno pensato Jez Scharf, Barack e Michelle Obama, rispettivamente creatore e produttori di Bodkin, quando hanno deciso di realizzare la serie in sette episodi (della durata variabile tra i 45 e i 55 minuti circa) che Netflix ha rilasciato il 9 maggio 2024. Quella disponibile sulla piattaforma a stelle e strisce, che è anche la prima volta dello scrittore britannico nelle vesti di showrunner, si appoggia proprio al suddetto filone per farne la base narrativa e drammaturgica sulla quale stendere la linea orizzontale mistery del racconto e le sue verticalità, ossia i cliffhanger e i colpi di scena che scandiscono con una puntualità quasi svizzera il finale dei singoli capitoli. Il team creativo ha però pensato a una variante per rendere lo show meno convenzionale, iniettando sin dalla fase di scrittura delle dosi massicce di comicità e politicamente scorretto con le quali stemperare di volta in volta la tensione e intrattenere lo spettatore di turno con il solito e intramontabile humour very british. Mix, questo, che a quanto pare ha dato i suoi frutti visto il livello di gradimento più che positivo registrato in termini di visioni sulla piattaforma a stelle e strisce, che hanno proiettato la serie sui gradini più alti della top ten settimanale.
Bodkin è un cocktail di generi, registri e tonalità che gioca sugli stereotipi del true-crime
Considerando il cocktail di generi, registri e tonalità messo in atto bisognerebbe quindi pensare a un ulteriore sottogenere che per comodità potremmo battezzare crimedy. Così facendo si darebbe al prodotto audiovisivo in questione e agli altri che più o meno vagamente gli somigliano un’identità precisa. Non è la prima e nemmeno sarà l’ultima volta infatti che tale fusione viene messa in atto, pensiamo ad esempio ai due capitoli di Knives Out o se vogliamo rimanere nel campo della serialità la mente non può non tornare a Only Murders in the Building, lo show statunitense ideato da Steve Martin e John Hoffman targato Hulu (in Italia è disponibile su Disney+ come Star Original). Con quest’ultimo le analogie sono molte: dal mix del quale si accennava in precedenza al fatto che i tre protagonisti registrano un podcast per documentare il caso in questione allo scopo di giungere alla verità che riguarda eventi accaduti molto tempo prima. Se si legge la trama di Bodkin tali analogie vengono immediatamente a galla, con queste che vanno di pari passo con quelle che sono le sostanziali differenze. Partiamo dall’ambientazione che dall’Upper West Side newyorkese di Manhattan ci porta oltreoceano, per l’esattezza in quel di Bodkin, la fittizia cittadina sulle coste dell’Irlanda che dà il titolo alla serie. Si tratta del tipico e pittoresco paesino dove tutti si conoscono e in cui nessuno vuole ricordare un fattaccio di sangue avvenuto in passato che ha impedito agli abitanti di continuare a festeggiare la loro celebrazione annuale in maschera, ossia il Samhein, meglio conosciuto come l’antenato di Halloween. Risollevare quelle pietre potrebbe portare alla luce segreti che era meglio rimanessero sepolti tra le rune celtiche, ma questo non impedirà a un eclettico gruppo di podcaster di indagare sulla misteriosa sparizione di tre persone nel corso della festa avvenuta venticinque anni prima.
Più che dalla linea mistery è dai conflitti interni al gruppo protagonista che arriva il meglio della serie
La traccia principale sulla quale si sviluppa il racconto di Bodkin sta dunque nelle indagini condotte in loco dal terzetto protagonista, costretto come da copione a doversi scontrare con il solito muro di ostilità, bugie, verità nascoste e omertà. La componente mistery che ne deriva, la cui matassa i personaggi cercheranno di sbrogliare, è la colonna vertebrale che tiene in piedi l’operazione e che garantisce il giusto coefficiente di intrattenimento al fruitore. Al netto di una buona dose di sorprese che scaturiscono dalla visione e che porteranno a un epilogo tutt’altro he scontato e prevedibile, ma anche di una serie di futili divagazioni che si potevano tranquillamente evitare e di troppe suggestioni legate ai costumi e alle tradizioni irlandesi purtroppo poco approfondite, il meglio arriva dai conflitti interni al gruppo protagonista. Gilbert, Emmy e Dove sono tre personaggi molto diversi tra loro, in qualche modo complementari, ai quali corrispondono modi opposti di intendere la vita e soprattutto il giornalismo. Dalle crepe, dai cortocircuiti e dai duelli fisici e dialettici che si consumano nell’arco della serie che si materializzano sullo schermo i momenti più riusciti. Merito anche dell’assortito trio che li ha resi possibili composto da Siobhán Cullen, Will Forte e Robyn Cara. Alle loro performance va attribuita gran parte della riuscita delle divertenti schermaglie.
Bodkin: valutazione e conclusione
Una co-produzione tra Irlanda e Stati Uniti è alla base di una serie che mescola il giallo con la commedia, il thriller con il racconto drammatico, dando forma a un cocktail che per comodità si potrebbe definire crimedy. Lo scrittore britannico Jez Scharf, qui per la prima volta nelle vesti di showrunner, cavalca furbescamente l’onda della moda del true-crime aggiungendo una buona dose di humour dalle tinte black e british per aumentare il coefficiente di intrattenimento e non legarlo espressamente alla componente mistery. Un modus operandi, questo, che riporta la mente a Only Murders in the Building, serie con la quale Bodkin condivide molti ingrediente della ricetta. I colpi di scena non mancano, ma sono le schermaglie e le crepe interne che scaturiscono strada facendo tra i protagonisti e dalle rispettive visioni della vita e del mestiere di giornalista a offrire al fruitore il giusto livello di intrattenimento. Sono infatti gli scontri dialettici e fisici tra i personaggi principali, efficacemente interpretati da Siobhán Cullen, Will Forte e Robyn Cara, gli ingredienti più succulenti della ricetta. Peccato solo per i costumi e le tradizioni irlandesi che vengono chiamati in causa, per poi essere approfonditi solo in minima parte. Una maggiore interazione con essi avrebbe sicuramente beneficiato al risultato finale.