Bordertown – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix

La serie tv scandinava, dal titolo originale Sorjonen, Bordertown torna su Netflix con la sua seconda stagione. La nostra recensione.

Dal 2 febbraio 2019 è disponibile su Netflix Bordertown con i dieci nuovi episodi della seconda stagione. La serie tv scandinava, dal titolo originale Sorjonen – ideata da Miikko Oikkonen e diretta dallo stesso insieme a Jyri Kähönen e a Juuso Syrjä -, rinnovata da Yle TV1 dopo il grande successo riscosso nella prima stagione, si concentra ancora sull’investigatore Kari Sorjonen e, da una parte, indaga su cinque nuovi casi di crimini commessi al confine tra Finlandia e Russia e, dall’altra, si occupa delle difficili questioni familiari che lo riguardano.

Bordertown: la seconda stagione si concentra su Kari

Kari è di nuovo sulla breccia, con le sue paure, le sue tensioni, i suoi problemi familiari (la malattia della moglie, la figlia), pronto all’indagine; fa freddo, molto freddo in questi nuovi dieci episodi di Bordertown e lo spettatore lo sente sulla pelle quel clima rigido che accompagna ancora, come aveva fatto nella sua prima stagione, la discesa agli inferi nel male umano – che diventa disumano. Kari risolve ogni caso entrando nel castello della memoria, in quel quadrato, costruito sul pavimento, per tentare di ricostruire la scena del crimine, pone le dita sulle tempie come attivare ancora di più il suo miracoloso “potere”, scaccia con frettolosi gesti delle mani le frasi disturbanti. L’uomo continua ad essere silenzioso, tormentato, ai margini della società forse, della sua famiglia – moglie e figlia si dimostrano spesso arrabbiate e innervosite dall’atteggiamento dell’uomo di casa – e di se stesso; l’unico “luogo” in cui si trova a proprio agio è il lavoro. Lì tutto ha un senso, tutto si trova al proprio posto o, almeno, è risolvibile per Kari, armato della sua mente. Nel momento in cui il detective deve stare lontano dal lavoro per assistere la moglie in ospedale, soffre, si sente un animale in gabbia; anche la sua squadra però avverte l’assenza del capo, l’uomo migliore, infatti Niko, colui che ha preso il suo posto, non è all’altezza della situazione (non trova il collegamento tra le vittime, non sa cosa dire alla stampa).

Bordertown: la seconda stagione continua a lavorare sugli stessi elementi della precedente

La struttura degli episodi, il ritmo, il clima che si respira sono sempre gli stessi – una società ammalata, ferita, in cui il Male si insinua dappertutto, una squadra altrettanto “ammalata”, ferita -, non ci sono particolari cambiamenti all’interno di Bordertown. Non ci sono picchi tensivi o, quando ci sono, non turbano nel profondo chi guarda, si assiste, con poca empatia, con un freddo “esterno” e poco emotivo che penetra nelle carni, alle tragedie umane. Interessante è però il fatto che la serie riflette su tematiche importanti, come ad esempio la pedofilia, il bullismo e la paura degli attentati, guardando a queste profonde lacerazioni dell’individuo di oggi da una prospettiva diversa, in un certo modo alternativa.

Emerge chiaramente che questi uomini e queste donne sono reietti, elementi cancerosi in un corpo già infetto. Tutti sono concentrati su altro, ognuno è imbrigliato nei propri problemi, l’altro è un’ombra con cui si convive ma con cui non si condivide. La famiglia di Kari ne è l’esempio: il detective non si accorge che la moglie è peggiorata, non sente le sue richieste d’aiuto, non capisce che la figlia ha bisogno di un padre che non scappi durante i compleanni, ma lui è fin troppo concentrato sul suo dono, sul voler salvare il mondo. La moglie di Kari, Pauliina, nasconde al marito e alla figlia che il cancro sta progredendo, finge di stare bene e si butta con forza nel lavoro e poi c’è Janina, fintamente colpita da ciò che la circonda ma in realtà proiettata e involuta su se stessa, sul suo dolore e sul suo futuro. C’è poi anche un’altra famiglia, quella composta da Lena – di cui si scoprirà qualche segreto del passato -, la collega forte e coraggiosa di Kari, e da Katia che sembrano molto lontane, che si parlano poco. Lena non è la classica madre, in più di un’occasione dà ordini alla figlia come si fa con un sottoposto, non regole come si fa con un’adolescente, dal canto suo Katia è una figlia difficile, odia tutti, compresa la madre, forse per il fatto che non ha mai conosciuto i suoi veri genitori, forse per tutto ciò che quasi come una “malattia genetica” si porta addosso – la madre tossicodipendente morta e il padre in prigione. La donna sembra interessarsi poco o male alla ragazza, la lascia a se stessa per correre a fare i conti con il passato – cosa che in un modo o nell’altro irrimediabilmente si ripercuote anche sulla figlia -, per indagare.

Sembra paradossale ma Kari e Lena, nonostante si facciano in quattro per salvare le proprie famiglie da nuove, terribili e inquietanti minacce, sono i primi a minarne la tranquillità proprio per le loro ruvidezze, le loro rigidità e la loro abnegazione al lavoro. Tali personaggi sono rappresentazione del marcio che c’è nella società, certo, loro sono dalla parte dei buoni ma sono lambiti anch’essi dall’onda: è così Kari è un uomo fragile, geniale ma anche disperato, incapace di accogliere la malattia della moglie, accudendola, e per sopravvivere deve parlare con i suoi fantasmi e lavorare, Lena è una guerriera che non salva dai problemi la figlia ma la porta in un circolo di tiro per imparare ad usare le armi.

La seconda stagione di Bordertown è un buon prodotto che però resta in superficie, non raccontando totalmente il mondo che è al centro della serie stessa. Bordertown non lega a sé gli spettatori; è difficile affezionarsi ai protagonisti di questo thriller scandinavo, automi in un mondo altrettanto algido.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9

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