Buon quel che vi pare: recensione della sit-com natalizia di Netflix
A meno di un mese dal Natale, Buon quel che vi pare trasmette un messaggio un po' banale ma sincero di condivisione e accettazione
In questo periodo festivo casca a fagiolo qualunque cosa che esprima con suoni e colori l’arrivo del Natale. Netflix si è portato avanti già da qualche mese con produzioni originali e non, e uno degli ultimi titoli disponibili sul suo corposo catalogo è Buon quel che vi pare, ideata da Tucker Cawley.
Il titolo non deve trarre in inganno: Buon quel che vi pare è una sit-com che non mira tanto a distruggere lo spirito natalizio, quanto a esasperare le consuetudini festive di una famiglia troppo unita, guidata da un padre severo e tradizionalista. Il Natale si respira in ognuna delle otto puntate, ma rappresenta solo un pretesto per l’emergere – tra una battuta di vecchio stampo e l’altro – di tematiche di un certo spessore e di drammi comuni a tutte le famiglie.
Buon quel che vi pare: viaggio tra le abitudini natalizie di una famiglia tradizionalista
Ciò che abbiamo imparato in anni e anni di programmi televisivi è che gli americani hanno una certa passione per le sit-com, che potenzialmente si prestano ad accogliere le tematiche più disparate. Fa dunque storcere un po’ il naso vedere quanto Buon quel che vi pare recuperi idee già abbondantemente sfruttate in passato, senza apportare grandi novità in un genere che potrebbe (e dovrebbe) dare vita a dinamiche più originali.
La giovane Emmy Quinn (Bridgit Mendler) torna a casa per le feste natalizie da una famiglia molto tradizionalista, portando con sé il nuovo ragazzo Matt (Brent Morin). Fin da subito Matt non riesce a entrare nelle grazie del capofamiglia, Don (Dennis Quaid), agente delle forze dell’ordine mentalmente chiuso e molto protettivo nei confronti della figlia. Matt fa di tutto per piacere all’uomo e per portare avanti la relazione con Emmy anche in mezzo alle asperità di una famiglia bizzarra.
Niente di nuovo dunque, a partire dall’idea di un fidanzato che cerca fino allo sfinimento l’approvazione di un suocero inflessibile, fino alla presentazione di una famiglia che fa di tutto pur di non scontentare il capofamiglia. Queste premesse, evidenti nei primi episodi della serie, segnano quello che probabilmente è il più grande ostacolo per la crescita di Buon quel che vi pare, problematica che non viene affatto smorzata dalla comicità del prodotto. Le battute mancano spesso di genialità e sono le situazioni – piuttosto che i veri e propri tempi comici – a strappare un sorriso un po’ amaro di fronte a una famiglia che, a ventunesimo secolo inoltrato, ancora si fonda su un impianto patriarcale, gerarchico e conservatore. La serie è zeppa di stereotipi di genere, di concetti che sembrano limitare la libertà personale del singolo, di opinioni ferree apparentemente irremovibili.
Si prova tuttavia un gradevole stupore nel vedere quanto nel corso degli otto brevi episodi la serie riesca a crescere, facendo capire allo spettatore che le opinioni di Don non rappresentano affatto i perfetti valori tradizionali a stelle e striscie, ma gli orgogli e gli errori di un uomo legato alle proprie abitudini e spaventato all’idea di non avere il controllo sulla propria famiglia.
Buon quel che vi pare sfrutta concetti ancora piuttosto arretrati per creare una comicità che non sempre funziona, ma lo fa senza mai oltrepassare il limite del rispetto. Questo titolo, così improntato su tematiche che potrebbero scatenare dibattiti politico-religiosi accesissimi, riesce a non offendere mai nessuno e segue un arco di sviluppo di situazioni e personaggi che dona soddisfazioni. Le battute rimangono per tutto il corso della serie ancora un po’ sotto tono, ma è proprio nell’assurdità delle dinamiche famigliari dei personaggi che si trova il realismo di una famiglia come tante altre.
La facciata perbenista di Don e della famiglia Quinn si mostra presto per quella che è, nient’altro che una maschera che copre una situazione molto più complessa del previsto. Le dinamiche personali e di gruppo, seppur narrate con una comicità altalenante e con una sensibilità non sempre matura, permettono di affrontare tematiche mature e disagi che sono comuni a tutte le famiglie.
L’ossessione di Don per il rispetto delle regole e delle tradizioni non impedisce ai personaggi di seguire un arco di sviluppo che li porta gradualmente a una piccola emancipazione personale, che può andare dalla più banale accettazione della propria situazione lavorativa, fino alla scoperta di sé e della propria sessualità.
Buon quel che vi pare: una sit-com che ha ancora qualcosa da dire
Sono molti gli eventi che possono sconvolgere gli equilibri in casa Quinn e tutti emergono puntata dopo puntata, proprio sotto le feste natalizie, mettendo il rigido Don di fronte alla necessità di allargare la propria visione del mondo, di accettare i propri figli (e i loro compagni) senza tentare di controllarli. Tra temi LGBT, atei convinti, fumatori, musicisti squattrinati e abbattimenti dei ruoli di genere, non sembra mancare proprio nulla per allargare la mentalità di un uomo dalla morale inflessibile.
In linea con lo spirito del Natale, Buon quel che vi pare si rivela una serie tv simile a molte altre, caratterizzata da una qualità altalenante e da una sceneggiatura non particolarmente originale e divertente, ma gradevole per un binge watching festivo e capace di trasmettere l’intramontabile messaggio che essere se stessi è ancora più bello se lo si fa tutti insieme.