Caccia ai killer – Stagione 2: recensione della docu-serie Netflix
Nel capitolo secondo, i nuovi episodi della serie true-crime riportano a galla gli efferati delitti commessi da BTK, dal cecchino seriale di Phoenix e dal killer del Village di Toronto. Dal 9 febbraio 2022 su Netflix.
Dopo la prima stagione, rilasciata da Netflix nel novembre del 2021, si cominciano a delineare con maggiore chiarezza quali siano le reali intenzioni degli autori di Caccia ai killer. Oltre ad offrire agli abbonati della piattaforma a stelle e strisce e agli appassionati del genere l’ennesima docu-serie true-crime, il regista Robin Dashwood, lo showrunner Nick Justin e il suo team formato da Lydia Delmonte, Melanie Burt e Hattie Bridges Webb, hanno portato sullo schermo dei nuovi capitoli di quello che sta prendendo sempre più la forma e la sostanza di un vero e proprio volume enciclopedico audiovisivo incentrato sugli assassini seriali più noti d’oltreoceano, capaci con i delitti dei quali si sono macchiati di gettare nell’isteria collettiva una nazione intera, lasciandosi alle spalle una scia di sangue, dolore e morte.
Caccia ai killer – Stagione 2: per ricostruire la complicata catena di eventi che hanno portato all’arresto del cannibale canadese Bruce McArthur ci sono voluti due episodi
Così dopo quelle di Green River Killer, Aileen Wuornos e Happy Face Killer, tocca ad altre epopee criminali essere rievocate nel suddetto compendio. In questa seconda stagione, disponibile in quattro episodi da 40 minuti circa cadauno a partire dal 9 febbraio 2021, è il turno di BTK, del cecchino seriale di Phoenix e del killer del Village di Toronto, che nei due episodi a lui dedicati sposta per la prima volta l’azione della serie dagli Stati Uniti al Canada. Diversamente dalle precedenti, raccontate nel primo e secondo capitolo, per ricostruire in maniera approfondita la complicata catena di eventi che hanno portato all’arresto del giardiniere cannibale canadese Bruce McArthur, responsabile tra il 2010 e il 2012 della sparizione dal celebre quartiere gay di Toronto di sei uomini, da lui poi torturati, uccisi e divorati, ci sono voluti due episodi, come già accaduto nella season inaugurale per il caso di Keith Hunter Jesperson, meglio noto come “Happy Face Killer”.
Il regista ha combinato interviste, immagini d’archivio accuratamente selezionate e ricostruzioni di fiction dalla messa in scena qualitativamente efficace
La vicenda di McArthur è tra le tre riportate a galla quella che, vista l’efferatezza delle azioni commesse, richiedeva allo spettatore di turno lo sforzo maggiore in termini di sopportazione. Nonostante la messa in quadro riesca a a non mostrare in maniera morbosa i dettagli più macabri dei delitti, il racconto corale dei testimoni chiamati in causa e le ricostruzioni a esso associate rendono perfettamente l’idea della violenza e della crudeltà messa in atto dall’aguzzino nei confronti delle sue vittime. Il ritrovamento dei corpi smembrati da parte degli investigatori è solo la punta dell’iceberg di questo caso che ha sconvolto la comunità LGBTQ+ canadese e il resto del mondo. Per rievocarla, il cineasta britannico rimette insieme tutti i tasselli del mosaico con un lavoro certosino che parte dalle interviste ai membri della task force che ha dato la caccia e assicurato alle patrie galere il serial killer. A queste, Dashwood ha combinato immagini d’archivio accuratamente selezionate e ricostruzioni di fiction dalla messa in scena qualitativamente efficace. Il tutto restituito attraverso un ritmo di montaggio sostenuto, che non permette al fruitore nemmeno un attimo di pausa.
Rispetto alla prima stagione il livello generale della scrittura e della regia sale decisamente di livello
Pur conservando invariato il format e lo stile che ne identifica la confezione, che vuole gli highlights affidati esclusivamente ai poliziotti, Caccia ai killer in questa seconda stagione sale di livello. Non raggiunge per potenza e coinvolgimento show analoghi come Night Stalker, che ad oggi per quanto ci riguarda resta il vertice raggiunto dalla docu-serie true-crime targata Netflix, ma fa decisamente meglio rispetto al primo tentativo che funzionava a fasi alterne, riducendo le storie di turno a delle sintesi stringate e superficiali, confezionate con una mano frettolosa di vernice. Stavolta la scrittura riesce a viaggiare a pieni giri sin da subito e non presenta diseguaglianze tra i vari episodi, ciascuno a proprio modo in grado di tenere alta l’attenzione del pubblico. In particolare la punta massima la offre quello focalizzato su BTK, l’acronimo che identificava il modus operandi di Dennis Rader, l’assassino che tra il 1974 e il 2004 ha legato, imbavagliato e strangolate con una corda una decina di persone, tra cui i componenti di un’intera famiglia del Kansas. La caccia all’uomo è davvero appassionante e trova nelle lettere di rivendicazione con gli enigmi, l’arresto e la confessione durante l’interrogatorio, le fasi più concitate e adrenaliniche del racconto. Stessa cosa si può dire del secondo episodio e dei momenti che portano alla cattura di Sam Dieteman e Dale Hausner, il duo di cecchini che 2006 ha terrorizzato le strade di Phoenix ferendo e colpendo a morte con un fucile una serie di pedoni scelti a caso. Le scene del pedinamento in auto è da manuale. Non ci resta che sperare che la docu-serie mantenga questo standard anche nelle stagioni successive.