Carnival Row – stagione 2: recensione della serie fantasy di Prime Video
La seconda stagione di Carnival Row ripete gli errori della precedente e ne commette di nuovi
È con rammarico che ci accingiamo alla negativa analisi della seconda stagione di Carnival Row, disponibile su Prime Video dal 17 febbraio. Questo perché il racconto aveva il potenziale per portare sullo piccolo schermo un prodotto di qualità, interessante e suggestivo. Purtroppo, alla seconda annata, la serie ricalca gli errori della precedente e ne commette di nuovi. Il setting visivo quanto la mitologia dei fatati erano un mazzo vincente per lasciarsi andare, giocarsi tutto e andare all-in. Gli ideatori, tuttavia, hanno scelto la strada dello standard, del canovaccio trito e ritrito, dimostrando una notevole pigrizia nella scrittura. Carnival Row è sterile, privo di qualsiasi fascino o elemento che ci invogli a proseguirne la visione.
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Ma non siamo ipocriti, le manifestazioni della malattia che ha afflitto la serie Amazon si riscontrano in molte altre serie. Parliamo della mancanza di fantasia e quell’innocente piacere della scoperta e dello stupore. L’abbiamo osservata ne Gli anelli del potere, prodotto high fantasy in cui la magia dovrebbe permeare ogni cosa e questo vale per prodotti di ogni palinsesto. Negli ultimi anni poche sono le produzioni fantasy che hanno reso onore al genere, dal cinema alla televisione. Carnival Row ha fatto il grosso errore di ripetere la formula perdente di Bright, cercando di imbrigliare un mondo fantastico entro i ristretti confini della realtà, omologandosi ad una produzione in serie senz’anima.
Mancano il cuore e la passione in ogni aspetto della serie, a partire dalla recitazione. Orlando Bloom e Cara Delevigne sono delle mere sagome cartonate, bidimensionali in un mondo a tre dimensioni. Il loro rapporto è basato su frasi da soap opera e soprattutto mai coerente. La sceneggiatura imbocca la strada della contestazione sociale, ma lo fa in un modo così evidente e forzato da risultare sciapa e inefficace. Carnival Row è una buona passata di pomodoro buttata a crudo senza condimento sopra una pasta scotta. Tutti gli elementi d’impatto vengono buttati nella mondezza, soppressi in favore di una narrazione soporifera e priva di contenuto. Siamo duri, ma la delusione ancora una volta è tanta.
Carnival Row e l’inizio della fine
La seconda stagione di Carnival Row riprende esattamente da dove avevamo lasciato i personaggi nella precedente. I fatati vengano confinati nel Row, bistrattati e lasciati a sé stessi. Una malattia dilaga nella riserva, mentre nella città degli umani si stanno compiendo efferati omicidi. L’aria si fa densa e le prime voci di ribellione si fanno largo tra la gente. Fuori dalla città scopriamo la complessità della situazione politica. Il Patto, nazione prima in guerra con il paese dei protagonisti, è preso d’assalto dalla rivoluzione proletaria di umani e fatati, la stessa che potrebbe colpire il paese da un momento all’altro.
Philo e Vignette devono fare i conti con tutto ciò e decidere quale posto avere nella storia. Il primo tenterà la via della destabilizzazione politica, mentre la seconda della guerriglia. Leggendo tra le righe si denota una certa affinità con la storia reale, soprattutto di inizio e metà novecento. Riscritta in altri termini la serie avrebbe avuto anche un certo fascino, ma la scarsità di dialoghi profondi e una messinscena discutibile minano ogni intento. Tuttavia, come dicevamo, il problema risiede alla radice, alla totale mancanza di fantasia. Eppure siamo davanti ad una storia dove vediamo fauni, fate, streghe e centauri, ma sono così uniformati da risultare privi di ogni fascino.
Non solo, come per Gli anelli del potere, ogni razza si comporta alla stessa maniera delle altre. Non c’è differenza tra un fatato ed un altro, tanto da renderli più umani degli umani. Questa mancanza di pluralità e biodiversità appiattiscono il tutto. Carnival Row sembra fregarsene della bellezza multiforme della natura, non diversamente dal Fate di Netflix. Per quanto rientranti in sottogeneri diversi, reputiamo The Magicians e Doom Patrol le serie che più hanno interiorizzato quell’innocente senso di meraviglia che in molti sembrano aver perso. La serie di René Echevarria e Travis Beacham guarda a Penny Dreadful ma non regge il paragone con l’eleganza e l’intelligenza dello show con Eva Green.
Ciò che la serie Prime Video sarebbe potuta essere
Dal senso di meraviglia passiamo ora a quegli elementi della seconda stagione di Carnival Row che avrebbero meritato maggior attenzione. Stiamo parlando della componente magica che coinvolge la Tourmaline di Karla Crome. La fata viene infatti irretita dai poteri di Aoife Tsigani e nella scena di comprensione nel secondo episodio si denota tutto ciò che la serie sarebbe potuta essere. Un’aria mitico-horror permea il momento e solo si fosse osato in quella direzione la storia avrebbe acquisito un valore aggiunto. È lo stesso principio che ammanta il finale di House of the Dragon: non si gioca con il fuoco, con forze ancestrali e potenti, il controllo è solo un’illusione.
La produzione evita l’horror, incrocia la strada con il noir ma svolta subito l’angolo. Carnival Row è un ibrido, un mutaforma che vorrebbe essere tutto e alla fine non è né carne né pesce. Lo ribadiamo, è un vero peccato, anche e soprattutto in virtù dell’attenzione nel design delle creature. Pensiamo a quanto siano reali e tangibili le carne dei fauni o alle ali delle fate, che abbracciano l’altro come delle arti. La sceneggiatura appiattisce il tutto con dialoghi privi di profondità; la serie naviga in superficie senza mai tuffarsi alla scoperta del fondale. Non siamo mai consci delle vere pulsioni dei protagonisti. Cosa spinge Philo, qual è il suo scopo? Perché il popolo fatato dovrebbe seguire Vignette se non dimostra nessun carisma?
Non abbiamo risposte a queste domande, almeno non negli episodi iniziali. Sullo stesso piano si muove la storyline di Agreus e Imogen. Per quest’ultimi è stato adottato uno stratagemma vecchio quanto la serialità, quello di far uscire i protagonisti dal proprio confine affinché lo spettatore venga a conoscenza del mondo esterno. I due amanti devo affrontare una nuova sfida che li riporterà indietro rinnovati o in compagnia di nuovi personaggi. Insomma, niente di nuovo, anche perché il world building di Carnival Row è davvero scarno, come un’enciclopedia di due pagine; c’è quello e c’è quell’altro, punto. Mai come in questo caso è stata ideata una mitologia interna così semplice, per quanto ci mostri specie fatate e imperi di ogni sorta. È un vero peccato e la delusione con la serie Amazon è davvero cocente.