Carol e la fine del mondo: recensione della serie TV
Carol e la fine del mondo è una serie che si concentra sull'individuo ma non è individualistica, una serie che fa riflettere!
Nella nuova serie animata, composta da 10 episodi, di Netflix Carol e la fine del mondo, la questione non è tanto se l’apocalisse possa essere evitata ma come sopravvivere in quei lunghi 7 mesi. Il pianeta sicuramente entrerà in collisione con la Terra, sta diventando sempre più grande nel cielo, e l’umanità sembra aver accettato chi in un modo chi in un altro il proprio destino. Non c’è più posto per i gesti eroici, la scelta sembra essere molto più naturale, o divertirsi dandosi alla pazza gioia o fare ciò che si è sempre voluto fare. Insomma le persone escono a festeggiare, viaggiano e vanno in deltaplano. Tra tutti c’è Carol Kohl (Beth Grant), una donna di 42 anni che vive in una città americana senza nome, è una creatura abitudinaria, non vuole cambiare la sua vita, vuole solo passare quei giorni nella maniera più ordinaria possibile. Così inizia Carol e la fine del mondo, creata da Dan Guterman (Rick e Morty, Community), la serie lavora su l’apocalisse, tema molto trattato nel cinema, nella serialità e nella letteratura perché l’idea che un cataclisma distrugga ogni cosa, fa sì che la mente creativa dia vita a storie, da Melancholia a Don’t Look Up, dai blockbuster anni ‘90 a Il mondo dietro di te, film Netflix di Sam Esmail che trae ispirazione dal romanzo di Rumaan Alam. Questa serie si allontana dal disaster movie per concentrarsi sulla protagonista e sull’umanità, sui rapporti umani e sulle riflessioni individuali.
Carol e la fine del mondo: cosa faresti se finisse tutto?
Carol e la fine del mondo racconta un’esistenza molto lontana dal sogno, una vita talmente normale da sembrare quasi noiosa, la protagonista non vede perché l’imminente fine del mondo debba significare cambiare tutto, accelerare le cose per non rimanere indietro in un pantano maleodorante e stantio. Se i suoi ricchi genitori trascorrono le loro giornate nudi e in compagnia del loro amante, il loro operatore sanitario domiciliare, sua sorella Elena (Bridget Everett) vive in giro per il mondo, godendosi le avventure, Carol no, dice ai genitori che passa le sue giornate a fare surf, invece sta di fronte alla televisione, ad assistere alla vita che sta per crollare.
Carol, per caso, vede una donna, la segue e scopre, al 19° piano di un edificio uno spazio per uffici operativi. Un uomo fa delle copie sorseggiando un caffè, una donna compila un foglio di calcolo nel suo cubicolo, i documenti vengono spostati dalla posta in arrivo a quella in uscita. Quanta perfezione in quel continuo ripetersi della stessa cosa, ogni giorno, quanta perfezione nella routine. Quello potrebbe essere il suo posto. Vuole solo lavorare. Punto e basta. Lei è una donna strana, solitaria, a tratti imbarazzante, come lo siamo tutti, a volte, ma lei lo è per scelta. Il mondo sembra essersi fermato, le strade sono quasi deserte. Carol scopre il luogo misterioso attorno al quale ruota la storia, un reparto di contabilità che per lei è quasi il nirvana. Perché vivere gli ultimi giorni in un ufficio? Scopre un posto di lavoro, dove può trascorrere le giornate, anziché restare sola, in casa, a guardare la TV, poi qualcosa cambia proprio quando inizia a lavorare.
Carol e la fine del mondo: una donna come tante al centro di un racconto che prende a pretesto l’apocalisse per narrare qualcosa d’altro.
In quel reparto, Carol, timida, riservata e confusa, trova silenzio, rigore, gesti ripetuti, non si comprende bene quale sia lo scopo di quel lavoro, di quelle persone, mute, sedute ad un tavolo di una scrivania altrettanto fredda e vuota, senza alcuna personalizzazione. L’uniformità dell’ufficio è realizzata da file di monitor, di computer, di luci, di tazze da caffè bianche, tutto è allineato, tutto è uguale, basta un po’ di vita, di umanità, di parole, di rapporti e ogni cosa si fa più colorato. L’ordine e la routine sono un conforto, ma non ci vuole molto perché Carol abbia bisogno di qualcosa di più. A poco a poco, la donna inizia a interrogarsi sulla vita, sulla realtà, e sarà per lei fondamentale fare amicizia con i colleghi, Donna (Kimberly Hébert Gregory) e Luis (Mel Rodriguez). Tra un banana bread e qualche chiacchiera, tra una gentilezza e un dopolavoro da Applebee, Carol, Donna e Luis vivranno varie avventure e, insieme, renderanno speciali quei giorni potenzialmente ansiogeni e difficili. Carol non conosce il mondo, ha moltissime insicurezze, l’ufficio sarà per lei motivo di vita, non per il lavoro in sé, quanto per le persone che ha incontrato.
Carol è il centro di questa serie, è il fulcro di questo magma emotivo e fantascientifico, proprio da lei si sviluppano le altre storie e in questo modo si costruisce una realtà sfaccettata dove vivono vari uomini e donne in cui chi guarda può ritrovarsi. Tutti però, chi in un modo chi in un altro, cercano il proprio posto, c’è Carol che da sempre ha bisogno di trovare qualcosa che la spinga a vivere, chi dedica gli ultimi mesi all’altro, chi si diverte, vivendo fino in fondo tutto.
Una cosa è chiara, non c’è speranza di sopravvivere eppure, la libertà di vivere come si vuole, trasforma la paura della morte in una tacita attesa ornata da momenti preziosi. Sono proprio i piccoli momenti di vita, vissuti tutti sempre come lampi di luce nel buio, a dare forza a Carol e a tutti i personaggi che si prendono il proprio momento per narrarsi.
Carol e la fine del mondo: un viaggio di formazione dell’età adulta
Carol e la fine del mondo è una sorta di viaggio di formazione dell’età adulta, la protagonista e tutti coloro che le ruotano intorno devono scendere a patti con se stessi, con le scelte fatte, con le proprie paure e con i propri desideri, si è di fronte alle proprie lacrime e ai propri attimi di umanità proprio nel momento in cui l’umanità è sul punto di collassare.
Proprio la routine del lavoro sembra l’unica luce per Carol infondo al tunnel, se fuori e, forse, anche dentro, c’è il caos, il disastro, dentro all’ufficio invece, c’è calma, serenità, solo lì la nostra eroina e i suoi amici si sentono bene. Dan Guterman contrappone all’apocalisse proprio quel luogo così freddo e di episodio in episodio si costruisce una sorta di commedia sul posto di lavoro un po’ strana ma piena di umanità, intorno alla propria scrivania, davanti alla macchinetta del caffè, si conoscono vite, paure, sogni e pensieri profondi, come spesso succede, in un universo chiuso con regole a sé stanti emergono le storture della nostra società ma anche ciò che c’è di buono nelle persone. Certo, si esce anche dall’ufficio e anche lì, per strada, sull’Everest, in mezzo al mare, a tu per tu con i propri errori, in macchina, accanto al proprio figlio, ciò che si è viene fuori ed è potentissimo.
Carol e la fine del mondo: valutazione e conclusione
Carol e la fine del mondo è una serie di fantascienza che è anche una commedia sull’essere umano e sulle relazioni, una narrazione distopica che fa emergere l’uomo e la donna con tutte le loro fragilità e la loro forza, non si giudica mai nessuno per come sta affrontando questi mesi. Non si corre solo in giro alla ricerca di qualcosa, il vero viaggio è quello interiore, Carol scala, insieme alla sorella, la montagna di insicurezze, nuota nei freddi fiumi dell’isolamento in cui per molto tempo si è trovata e si è trincerata per evitare di mettersi in gioco veramente, trova il coraggio di andare in ufficio ogni giorno e conoscere. Questa fine del mondo può essere intesa come molte cose, il covid, la crisi climatica o qualsiasi altro disastro e cataclisma in cui gli esseri umani si sono trovati, l’odissea di Carol parte da lì, da spettatrice di tutto ciò che accade intorno e poi diventa spettatrice di questo cambiamento.
Gli episodi potrebbero sembrare a sostegno del capitalismo ma è chiaro, per Carol e i suoi colleghi quell’ufficio è qualcosa di molto di più e di molto diverso, è il luogo in cui ha veramente iniziato a vivere. Carol e la fine del mondo è una serie che si concentra sull’individuo ma non è individualistica, è uno show che dimostra quanto per sopravvivere si debba essere individui nel mondo, riflettere su di sé per essere con gli altri, Carol crescerà, uscirà da quel “cubicolo” solo quando si aprirà a ciò che le sta intorno.