Caterina la Grande: recensione della miniserie con Helen Mirren
Recensione della miniserie HBO e Sky Atlantic Caterina la Grande con Helen Mirren che interpreta la grande Imperatrice russa
Quando ha sedici anni Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst viene data in sposa a Pietro Fëdorovič il quale, con il nome Pietro III, nel 1762 sale sul trono di Russia. Lei viene ribattezzata Caterina II e circa sei mesi dopo, assistita da alcuni cospiratori, detronizza il marito e diventa Imperatrice. Il suo regno dura 34 anni e permette alla Russia di raggiungere il massimo splendore e riconoscimento dalle nazioni rivali. I suoi 34 anni di dispotismo illuminato sono considerati “l’età d’oro dell’Impero russo“. Ora Caterina II ha l’onore di essere rappresentata sullo schermo da Helen Mirren, che di regine se ne intende, in una miniserie che prende il proprio titolo dall’appellativo che la Storia ha assegnato a questa donna straordinaria: Caterina la Grande.
La miniserie di produzione anglo-americana è divisa in quattro episodi (per un totale di 240 minuti) scritti da Nigel Williams per HBO e SkyAtlantic (che si occupa anche della distribuzione italiana) e diretti egregiamente da Philip Martin. Arrivata sul canale satellitare il 1 novembre 2019, la serie ha come protagonisti, oltre alla già citata Mirren, anche Jason Clarke, Rory Kinnear e Richard Roxburgh.
Caterina la Grande: uno storytelling noioso per una scenografia da favola
La scelta di chiamare Helen Mirren a interpretare nuovamente una donna potente (dopo la sua incredibile interpretazione di Elisabetta II nel film del 2006 The Queen – La regina) è senza dubbio azzeccata. L’attrice britannica, leader indiscussa di ogni opera nella quale appare, è dotata di un’aura regale che l’accompagna in ogni ruolo piccolo o grande che sia, d’alto o basso livello non importa: lei è Helen Mirren. Detto questo – e messa da parte l’indiscussa bravura della sua interprete principale – il drama HBO sull’Imperatrice russa non regge il confronto né con l’immensa storia che vuole raccontare, né con la suddetta protagonista. Caterina la Grande è caratterizzato da uno storytelling noioso e sciatto che rende la visione lenta e lunghissima.
A lavorare a pieno regime è, invece, lo sguardo: le scenografie sono grandiose, opulente e ricchissime di particolari. Con i palazzi da sogno dello Zar, Caterina la Grande mette in scena qualcosa di meraviglioso, delle visioni incredibili e una fotografia che non teme d’indugiare sull’oro, sulle tavole imbandite, sullo spreco della nobiltà. Così come non teme di posare troppo a lungo lo sguardo sulla sua protagonista che non si risparmia e interpreta a favore di telecamera una donna capricciosa e fortissima, circondata dallo sfarzo e consapevole della propria potenza.
Cosa racconta la miniserie Caterina la Grande?
La miniserie inizia a raccontare la storia dell’Imperatrice negli anni successivi al colpo di Stato. Non ci viene raccontata la sua infanzia in Germania o l’educazione rigidissima volta a farla diventare la perfetta moglie di un re. Quello che Williams, giustamente, decide di mostrarci è l’amore di Caterina per il popolo russo, per le sue tradizioni e la sua cultura, amore che rappresenta ciò che le ha permesso di conquistare il cuore del suo popolo. La miniserie copre nei suoi quattro episodi tutti e 34 gli anni di Caterina sul trono russo, disfandoci davanti agli occhi le dinamiche di potere che hanno spesso minacciato la sua egemonia e la narrativa reazionaria che ha caratterizzato gli anni successivi alla sua morte nel 1796.
Caterina la Grande ci racconta le grandi capacità di leadership della sovrana, ma si trasforma presto nella storia tormentata del suo amore per il tenente Grigory Potemkin (Jason Clarke), con il quale porta avanti una relazione durata decenni. La miniserie prende spunto dallo scambio epistolare tra i due che nella realtà viene spesso preso ad esempio per mostrare la grande intelligenza, caparbietà e furbizia dell’Imperatrice, ma che sullo schermo diventa una debole imitazione. Come il resto della sceneggiatura – che fallisce di episodio in episodio nel trasmettere la vera potenza della sua Caterina – anche queste lettere diventano una macchietta, un mero riflesso offuscato della realtà che avrebbe dovuto (e voluto) raccontare.
Nonostante la regia di Martin (che aveva già dimostrato di riuscire a veicolare elegante epicità nella direzione di alcuni episodi di The Crown) ce la metta tutta per trasformare Caterina la Grande in un prodotto interessante e nonostante la Mirren e la maggioranza del cast forniscano una buona performance, c’è poco da fare: quella sceneggiatura tanto debole è una zavorra pesantissima.
Caterina la Grande diventa una miniserie difficilissima da guardare senza mettersi a fare altro e non c’è Helen Mirren che tenga.