Ci vediamo in un’altra vita: recensione della serie TV Disney+

Racconti come questo, pur con i loro limiti, sono capaci di farci comprendere la malvagità umana.

Arriva su Disney+ il 17 aprile 2024, la serie TV spagnola, costituita da 6 episodi, Ci vediamo in un’altra vita, creata da Jorge Sánchez-Cabezudo e Alberto Sánchez-Cabezudo. La serie, adattamento del libro del giornalista Manuel Jabois, Nos vemos en esta vida o en la otra, si basa sull’intervista che Gabriel Montoya Vidal, Baby, gli rilasciò per parlare del suo legame con il più grande attentato jihadista commesso sul suolo europeo l’11 marzo 2004. Baby all’epoca era un adolescente, aveva sedici anni e, insieme a Emilio Trashorras, partecipò al trasferimento dell’esplosivo che sarebbe stato utilizzato a Madrid. La miniserie racconta cosa c’è dietro alla vita di Baby e ai tragici fatti dell’11 marzo.

Ci vediamo in un’altra vita: un racconto quasi documentaristico utile a fotografare uno dei momenti più terribili della storia contemporanea

Sembrava quasi impossibile offrire una nuova visione della tragedia degli attentati jihadisti ma poi Manuel Jabois è riuscito a ottenere un’intervista con Gabriel Montoya Vidal, l’unico minorenne coinvolto negli attacchi, soprannominato dalla stampa Baby. Il discorso è stato il germe del libro e anche la nuova serie Disney+, diretta dai fratelli Sánchez-Cabezudo. La serie si concentra sul rapporto tra Emilio Suárez Trashorras e Baby, responsabile dell’ottenimento e del trasporto dell’esplosivo che avrebbe messo fine alla vita di 192 persone, interpretati qui il primo da Pol López e il secondo da Roberto Gutiérrez (adulto) e Quim Ávila (adolescente). Lungo gli episodi, lo spettatore viene catapultato nella vita del ragazzino, la lotta per la sopravvivenza, il bisogno di appartenere a qualcosa, di avere un riferimento (anche se è  sbagliato), di superare una noia che appesantisce ogni giorno, si avvicina a una realtà terribile. Ci vediamo in un’altra vita ha un approccio di veridicità quasi documentaristica in cui non c’è nulla di casuale: l’ambientazione, i personaggi secondari, l’eccellente sceneggiatura adattata. La figura di Baby ci viene raccontata secondo diversi elementi che sono essenziali per costruire il personaggio: il contesto di una famiglia a volte spettrale, in cui videogiochi e sigarette sembrano sostituire abbracci e conversazioni, un giovane senza le opportunità ideali per farsi strada.

Ci vediamo in un’altra vita: “Non mi pento di quello che ho fatto, mi pento di quello che è successo”, intorno a questo si costruiscono la narrazione e il personaggio

Durante i primi episodi, l’occhio segue Gabriel da vicino così che ci si sente dentro la storia, accanto a Baby. “Non mi pento di quello che ho fatto, mi pento di quello che è successo”, si sente in una delle sequenze della serie e continua dicendo: “Non conosco nessun altro mondo tranne quello in cui vivo, che è il mio”. La storia è quella di un ragazzino dalla vita precaria, spinto dalla voglia di denaro per sopravvivere, Baby non conosce altro, conosce solo quella lingua, la grammatica di quel mondo, non studia, non lavora e in questo modo la serie mostra in prima persona il percorso che lo ha portato a perdere la propria completa libertà. Senza il padre, chiuso in carcere, Baby si appoggia completamente a Emilio, punto di riferimento per lui che ha già gettato la spugna ed è convinto di non avere nessun altra possibilità, questa è la sua strada, decisa quasi per nascita, trasmessa attraverso il codice genetico.

Notti di droga, alcol, armi, confusione e dinamite si concludono con sangue, dolore e ignominia. Baby si lascia trasportare dalle situazioni, non fa alcunché per togliersi da quel gorgo come se quello fosse il suo destino, dentro di lui forse c’è qualche dubbio, espresso dalla voce fuori campo ma è un sibilo più che un urlo che non possiede la forza per svegliarlo da quel torpore. Ci sono tanti elementi utili a creare la situazione e la condizione in cui Baby è nato e cresciuto e questo non giustifica ovviamente nessun gesto da lui compiuto ma ne spiega la genesi: il minore cresce senza padre che è in prigione, la madre, maltrattata, e che deve fare tutto da sola, viene usato da Emilio come pedina, mostrandogli la via da imboccare per vivere in Spagna, in Perù o in qualsiasi società, vivendo sempre ai margini della legge. La storia è ricca di salti temporali che permettono allo spettatore di apprezzare diverse dimensioni di Baby e di coloro che lo circondano, lo vediamo in compagnia del padre, fumare, entrare in discoteca, guidare veicoli a più di 150 km/h senza paura.

Ci vediamo in un’altra vita: valutazione e conclusione

Sánchez-Cabezudo narrano tutto ciò con una sobrietà potente, grazie ad una sceneggiatura precisa in cui si compone il ritratto di persone che hanno compiuto un gesto tragico e insensato. Ci vediamo in un’altra vita si aggancia alla realtà e al realismo, entrando nella vita di Baby, scoprendo come il ragazzo entri in un mondo oscuro, pericoloso, e di episodio in episodio, di minuto in minuto gli incarichi sono sempre più importanti e pericolosi fino ad arrivare al momento in cui il ragazzo viene interrogato in tribunale. La serie combatte per mostrare le cose come sono avvenute, vuole dare dignità e rispetto alle vittime, infatti Sofía Fábregas, vicepresidente della produzione originale Disney+ Spagna, ha descritto Ci vediamo in un’altra vita come una serie necessaria in modo da portare oggi, alle nuove generazioni, uno degli episodi più dolorosi della storia spagnola.

Racconti come questo, pur con i loro limiti, sono capaci di presentarci un ampio crogiolo di ragioni che, solo viste insieme, ci permettono di comprendere come la malvagità umana sia capace di approfittare di determinate circostanze e provocare un dolore che ancora oggi, vent’anni dopo, è difficile da superare.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3