Compagni di università – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix
Approda su Netflix la seconda stagione di Compagni di università, ideata da Nicholas Stoller e Francesca Delbanco. Ecco la nostra recensione della nuova stagione.
Compagni di università (Friends from College) torna sulla piattaforma Netflix con una seconda stagione ricca di nuovi intrecci, spartiti per la durata di otto episodi. Ideata da Nicholas Stoller e Francesca Delbanco, Compagni di università segue le vicende di un gruppo di amici, tutti ex-studenti di Harvard, alle prese con l’avanzare dell’età, che con sé porta le prime difficoltà sul piano professionale e, soprattutto, sul piano personale. Keegan-Michael Key, Annie Parisse, Jae Suh Park, Fred Savage, Cobie Smulders e Nat Faxon tornano nei panni dei personaggi introdotti nella stagione precedente e che, nel frattempo, poco o nulla sono riusciti a cambiare di loro stessi e delle loro vite: Ethan riesce ancora a destreggiarsi fra la stabile relazione che ha con Lisa e quella, ancor più stabile, che mantiene clandestinamente in vita assieme a Sam.
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È sempre il medesimo triangolo amoroso, quindi, ciò che muove i fili principali degli eventi che scandiscono la seconda stagione di Compagni di università, ma non si può certo affermare che sia questo il centro di tutto. Ad accompagnare i mille imprevisti che nascono dalla storia adultera, infatti, non mancano ostacoli nel mondo lavorativo per tutti i protagonisti. Ethan è bloccato nel tentativo di pubblicare un romanzo che sembra non piacere a nessuno, neppure al suo editore (e che quest’ultimo sia proprio un amico di college sembra complicare le cose, anziché semplificarle). Il nuovo lavoro ottenuto da Lisa, invece, la costringe a stare a contatto con colleghi nella totalità maschi e iper-maschilisti, alla quale ironia dovrà adagiarsi per “sopravvivere”. Marianne sta preparando una pièce teatrale dal dubbio gusto, e figuriamoci quanto riscontro potrà ottenere da amici mentalmente bloccati in età adolescenziale. Compagni di università è, in sintesi, una commedia teen modellata, però, sulle personalità di adulti fatti e formati, o presunti tali, che si ritrovano a confrontarsi con desideri e fallimenti, obiettivi mancati e centrati, bugie infantili e inganni evitabili, che li pongono al cospetto della crescita individuale come unica strada per affrontare il cambiamento dell’ambiente attorno.
Compagni di università: ritorna il politically correct, ritorna il cliché
Purtroppo, fatta eccezione per qualche gag ben assestata, Compagni di università non garantisce il divertimento che promette allo spettatore e che dovrebbe, in effetti, portare. Le pecche risultano essere esattamente le stesse riscontrate nella prima stagione: non si aggira il rischio del cliché per tentare di far ridere, e torna il politicamente corretto ad ogni costo (addirittura aggiornato all’epoca del MeToo). I pochi momenti sinceramente spassosi, e nemmeno così tanto, tornano ad essere adombrati dalla trama monocorde cui gli autori sembrano affezionati. Il problema più ingombrante e palese della seconda stagione della serie sembra essere, dunque, proprio quello di un registro comico discontinuo e pallido che, per di più, mai si alterna a momenti più intimi, più nostalgici (scelta che si riterrebbe saggia, dato il tema trattato).
L’umorismo di Compagni di università è insipido e piuttosto banale
I personaggi che ne sorgono risultano privi di spessore, addirittura di sentimento, di dolcezza, persino di un conflitto (non necessariamente interiore) che possa indirizzare la narrazione verso punti di svolta autentici o interessanti, se non insoliti. Meglio la farsa senza smussature e sfumature, la demenzialità (mai abbastanza spinta da diventare esilarante), meglio la banalità di situazioni burlesche a cui i protagonisti reagiscono come se dovessero seguire il pilota automatico, il disegno di una mente dietro tutto – in pratica, non reagendo affatto. Compagni di università, in pratica, è una serie che sottolinea e non corregge i difetti della sua prima stagione, finendo spesso nell’umorismo insipido, mai sottile (sketch a suon di vocine stridule e tic esagerati annoiano dopo poco), e privo di protagonisti che siano almeno interessanti.