Roma FF18 – Corpo libero: recensione dei primi episodi della serie tv Paramount+
Un coming of age spietatissimo, su Paramount+ dal 26 ottobre 2022 dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma.
“Tra sette giorni ci sarà una ginnasta morta, ma stamattina quando apro gli occhi non è ancora successo niente. La prima sveglia suona alle sei e cinque, la seconda alle sei e dieci. Mi piace la prima perché c’è la seconda: sono i cinque minuti più miei che riesco a immaginare. Non penso a niente, non sono niente.” scrive così Ilaria Bernardini nel suo Corpo libero, libro in cui l’autrice racconta un mondo pieno di competizione, ossessione e distruzione e che diventa ora una serie tv di 6 episodi – una coproduzione Indigo Film e Network Movie, assieme a ZDFneo e in collaborazione con Rai Fiction (la serie sarà trasmessa anche da Rai 2 nel 2023) e Paramount+, in associazione con All3Media International – scritta da Chiara Barzini, Ilaria Bernardini, Ludovica Rampoldi e Giordana Mari e diretta da Cosima Spender (SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano) e Valerio Bonelli, presentata con i primi due episodi in anteprima assoluta ad Alice nella Città, alla Festa del cinema di Roma, e disponibile dal 26 ottobre 2022 su Paramount+.
Corpo libero: un coming of age spietatissimo, in chiave thriller
Corpo libero è un coming of age interessante perché è anche un thriller, ambientato nel mondo della ginnastica artistica femminile, la storia segue un gruppo di ginnaste adolescenti impegnate in una competizione internazionale sulle Alpi, al centro ci sono 5 atlete, Alessia De Falco, Giada Savi, Federica Cuomo, Eva Iurlaro, Giada Pirozzi, e un terribile segreto. Il primo episodio si apre con paesaggio quasi da favola, nonostante i rumori “spaventosi” della natura, un albergo illuminato, ma poi basta poco, l’oscurità, la colonna sonora, una mano insanguinata che cerca l’impossibile: alzarsi, cercare un appiglio. Un urlo. Qualcuno che fugge. L’unico spettatore sembra essere la statua di un angelo che, impotente, partecipa ad uno strazio. Chiaramente non si tratta di una favola e neppure di un racconto spaventoso per i bambini, si tratta di un vero dramma, cosa che si comprende quando la squadra investe un cerbiatto (“Abbiamo ucciso Bambi”, in questa frase evidentemente c’è un’anticipazione di ciò che accadrà e di come/quanto tutti siano colpevoli, anche solo moralmente, di quella morte).
Martina: “Tutto è iniziato nello stesso modo di sempre. L’adrenalina che non ti fa dormire, la sveglia presto al mattino, la voglia di partire per il torneo, di vincere, di essere lì, tutte insieme. Nessuna di noi avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe andata a finire così, che le nostre vite sarebbero cambiate, per sempre”
Racconta questo Martina, spaventata e tentennante, la ginnasta che porta chi guarda nell’inferno più nero. Lei è l’unica che nei primi episodi parla di quei giorni, è l’unica che si fa strada tra quel magma difficile da narrare, difficile da immaginare. Lei è una delle atlete della Vis Invicta, una di quelle che è stata convocata per partecipare al torneo in Abruzzo, lo si capisce da subito: è lontana dalle altre nonostante la ginnastica artistica sia “anche uno sport di squadra”, non è un caso che in più di un’occasione le ragazze, la coach Rachele (Antonia Truppo) e il medico, Alex (Filippo Nigro), ripetano che loro sono “un corpo e un unico cuore”. Per capirne una devi capire tutte le altre, sono un unico corpo, lavorano all’unisono, spesso si ritrovano in cerchio, figura perfetta e circolo energetico come quasi quello dello streghe, ciascuna con il proprio potere mira a realizzare l’incantesimo, ma solo con l’energia di ognuno si arriva al risultato.
Corpo libero presenta subito i suoi personaggi: Carla e la sua ombra, Nadia, che fanno qualsiasi cosa in due “anche respirare”, Anna e Benedetta che viene chiamata “l’inutile” perché non è abbastanza forte, non è abbastanza coraggiosa, insomma, non è niente. La quinta stella è Martina, l’imbucata perché ha preso il posto di qualcun’altra, perché a causa di un infortunio, o forse per qualcos’altro, si era dovuta fermare.
Il racconto di un corpo che non deve crescere
“Non sarete mai perfette come oggi, non sarete mai più giovani come oggi. Approfittatene, godetene, vincete. Abbandonate la paura, i pensieri. Esistete, esistiamo solo adesso.”
La serie, proprio come il libro, ragiona su un ambiente complesso, difficile, se da una parte c’è la rappresentazione di un mondo che mira a raggiungere la perfezione a suon di allenamenti e rigore militari, dall’altra c’è quella di un universo a tratti violento o almeno crudele che spesso è feroce con queste ragazze le cui giornate sono scandite da sacrifici, niente sole, niente cibo, niente vita. Un’esistenza che respira e vive per un momento, quello della gara, una sorta di qui e ora.
Martina: “Il nostro corpo è come uno strumento di un musicista, dobbiamo forzarlo ma non troppo sennò si rompe, dobbiamo averne cura”
Salto dopo salto, caduta dopo caduta, tra litigi, patti di sangue, baci, prove di resistenza e fughe notturne si apre un panorama infernale fatto di competizione sfrenata, di violenze psicologiche, di parole che feriscono in maniera indelebile. Carla e Nadia sono due bulle che umiliano e pungono le altre, quella che dovrebbe essere una famiglia, un gruppo unito da un’amicizia inossidabile in realtà è un luogo in cui ci si deve proteggere dagli attacchi. Anna viene chiamata Annarè eppure ,nonostante questa apparente tenerezza, subisce attacchi continui perché mangia e i chili aumentano; è davvero disturbante vedere come la ragazza ad un certo punto beva solo acqua per essere pronta alla gara ed essere più leggera.
Il centro del racconto è quindi quel crocicchio di ossa e muscoli, una macchina ineccepibile che non può fallire, lo si ripete più e più volte, sono lì per vincere, punto e basta – Rachele prima delle qualifiche dice: “oggi usciamo contente se arriviamo seconde ma io non vi ho insegnato ad essere contente del secondo posto, giusto?! […] Perciò andate, brillate e pigliatevi il primo” -, e tale perfezione va misurata in chili, in centimetri, in circonferenza. Emerge chiaramente da parole, gesti, momenti quanto queste ragazze siano soggette ad un clima del terrore che le rende vittime di un sistema, di un mondo. La loro carriera è brevissima, o sei scoperta ora o non lo sarai più, quando il corpo cambia, il miracolo non avviene; è altrettanto doloroso vedere la sorveglianza e il controllo che le atlete subiscono da parte di Alex e Rachele: una dietro all’altra, in fila, si osservano – e vengono osservate – e sono pronte a bisbigliare, a irridere, a affossare chi non ha più la forma aurea.
Al centro c’è la costruzione di un marchingegno esplosivo perché da una parte c’è la forza dell’adolescenza, del fisico che cambia, dall’altra c’è la tensione detonante insita nel body rosa e argento, riempito dai corpi esili, alti un metro e cinquanta di altezza. Diventa interessante dunque vedere come tutto si faccia sempre più oscuro e drammatico proprio mentre la fanciullezza è a rischio, la paura di sbagliare l’esercizio è presente, ma c’è anche qualcos’altro, un impeto naturale e fisiologico che prende gambe, braccia, il metro e cinquanta e tira, espande ogni parte. Il miracolo si sta compiendo ma per loro si fa incubo, il confine tra infanzia e adolescenza è labile e basta poco e non si vola più come fa Agnese, una volta loro compagna e ora nemica – gareggia con la Romania -, e l’involucro prima spettacolo adesso è una gabbia.
Martina, una io narrante turbata e terrorizzata, racconta durante l’interrogatorio i mesi, i giorni della preparazione, la frustrazione di stare in panchina – dice che “è solo la cosa più deprimente che ti possa mai capitare. Stare in panchina è come essere morti e vedere gli altri al tuo funerale” -, il disagio di sbagliare, la rabbia della leader che valuta più gli errori altrui che i propri, le umiliazioni che si provano costantemente e così Corpo libero mostra ciò che non si dovrebbe vedere perché non dovrebbero esistere e si fa documentario di cui si sente la necessità per alzare un velo di silenzio e omertà. Ci sono momenti davvero insopportabili: Carla che invita a prendere i lassativi “come fanno tutte”, che ordina alla compagna di non mangiare perché così sarà più leggera e non sbaglierà, le compagne che, vittime dello stesso sistema, sono impotenti ad aiutare, gli adulti che mirano solo ad una cosa, vincere. In tutto questo chi guarda è altrettanto impotente perché è difficile assistere a ciò che accade sulla scena, è agghiacciante percepire la totale assenza di empatia o almeno una certa asetticità dettata da un imperativo categorico: o si vince o niente, o si eccelle o niente, o si è una libellula o niente. Si deve essere vincitrici, guerriere, così è stato insegnato loro, perché, nonostante non sembri, non è tanto il corpo che deve diventare forte ma è la mente.
Corpo libero: due episodi che mirano a costruire un mondo spietato e spesso violento
Corpo libero è un romanzo di formazione angosciante e ansiogeno, una storia di crescita che diventa lotta per restare a galla in un mondo spietato che può portare a gesti inconsulti. Si mette in atto un’investigazione che si basa sul passato recente (Cosa è successo durante quella settimana?) e sui mesi precedenti (cosa è successo davvero tra quelle ragazze? Cosa è successo tra Agnese e le ragazze della Vis Invicta?). In una trama fittissima e in certi momenti davvero insopportabile, fatta di segreti e bugie, vengono a galla macchie che è complesso addirittura ascoltare (la storia di Luisa, la ragazza di cui ha preso il posto Martina), ci si trova di fronte a un gruppo di adolescenti rabbiose e vendicative, cattive e invidiose che mirano solo a vincere e ad adulti che non si prendono cura di loro – incredibile sentire ridere Alex quando una delle sue atlete quando sente di essere sottopeso, gioisce perché vuol dire che il suo corpo non è uscito dalla fanciullezza, o Rachele che finge di credere che Anna non si senta di mangiare per la tensione – ma creano delle macchine da guerra, una uguale alle altre. I primi episodi della serie sono ben costruiti ma aprono le porte ad un inferno che può far paura, ad un’esistenza, quella delle atlete, che è sportivamente e lavorativamente brevissima e per questo spietata, spesso violenta.