Criminal: recensione della serie tv antologica Netflix con David Tennant
Dodici episodi per un nuovo dramma seriale poliziesco ambientato in quattro stati diversi. Criminal è il must-see di questo settembre 2019 su Netflix. Ne parliamo nella nostra recensione.
Un nuovo interessante progetto originale Netflix debutta sulla piattaforma streaming raccogliendo immediatamente un’attenzione cresciuta pian piano sin dalle prime notizie che, mesi fa, hanno iniziato a circolare in rete. Criminal, composta da dodici episodi in totale, si propone come serie tv antologica da guardare tutta d’un fiato e in un ordine fortemente libero che viene deciso dallo spettatore chiamato a scegliere se guardarla seguendo un assetto sparso o geografico. Particolarità di questo nuovo prodotto originale Netflix è il fatto che Criminal sia divisa a sua volta in quattro micro-serie tv composte da tre episodi ciascuno: questi ambientati in Regno Unito, Germania, Francia e Spagna. Gli abbonati non troveranno infatti l’intera serie accorpata in un unico blocco, bensì si troveranno di fronte a Criminal: Regno Unito, Criminal: Germania, ecc. ecc.
Criminal: la stanza degli interrogatori come teatro di drammi sempre diversi
Come ogni serie tv antologica che si rispetti anche Criminal possiede uno o più elementi che accomunano i singoli episodi apparentemente slegati fra loro. Primo fra tutti è la sua ambientazione. Ogni singolo episodio, che sia uno inglese o tedesco o spagnolo o francese, viene ripreso nella stanza degli interrogatori del commissariato di polizia. La composizione della stanza in particolare, così come il corridoio adiacente o la camera insonorizzata che ospita chi ascolta le sedute interrogatorie non cambia da paese a paese, rendendo ogni puntata legata da un filo particolare: quello scenografico. I colori delle mura, gli arredi, i pavimenti, persino i distributori automatici e i macchinari di registrazione dei colloqui raccontano su uno stesso palcoscenico storie diverse pur servendosi di protagonisti lontani molte migliaia di chilometri l’uno dall’altro. Vi sono, poi, quattro squadre di agenti – una per ogni Paese – che guidano ognuna le tre interrogazioni mostrate in questa prima macro stagione.
Partendo nella visione con il primo episodio di Criminal: Regno Unito intitolato Edgar – nome del sospettato – ci troviamo ad assistere ad un caso di omicidio che vedrebbe coinvolto il personaggio interpretato da David Tennant. L’attore britannico, molto conosciuto sia al cinema che sul piccolo schermo – più in quest’ultimo; ricordiamo in particolare Doctor Who e Broadchurch – attraverso un’interpretazione pacata, ma al tempo stesso fortemente emotiva e giocata su sguardi e piccoli movimenti si costruisce come elemento catalizzante dell’intero episodio. In soli quaranta minuti infatti lo spettatore viene travolto da una serie di eventi, colpi di scena e cambi di registro pur rimanendo in uno spazio di pochi metri quadrati. Anche Hayley Atwell (Marvel’s Agent Carter) spicca per la sua intensa espressività recitativa, così come l’attrice spagnola Carmen Machi (Parla con lei).
Lo spazio scatolare sprigiona l’intensità interpretativa dei personaggi
Nonostante quindi uno spazio molto limitato entro cui muoversi, ciò che convince in Criminal è certamente la bravura dei suoi protagonisti a prescindere dalla posizione che occupano attorno al banco interrogatorio della stanza spiata. Le singole vicende spaziano per innumerevoli temi passando dall’omicidio passionale al crimine d’immigrazione non controllata, fino ad eventi di cronaca realmente accaduti.
Una certa linearità di ritmo narrativo accompagnato da un minutaggio che non pesa, Criminal risulta essere un valido prodotto seriale propenso alla rapida visione – il bingewatch, per intenderci. Diventa interessante, successivamente, cercare le differenze tra i quattro paesi ospitanti. Se l’impianto espositivo risulta essere materia comune, elementi di regia e tecnicismi ben caratterizzanti, come l’uso di luci o inquadrature, differenziano i diversi Criminal fra loro. In definitiva, la serie tv creata da Jim Field Smith e George Kay, risulta convincente nel mettere in scena brevi rappresentazioni quasi teatrali su piccolo schermo, utilizzando soggetti apparentemente semplici ma elevati da un cast presente e fortemente efficace.