Cuori – stagione 2: recensione della fiction Rai
Pilar Fogliati buca lo schermo mentre accompagna la sua Dottoressa Brunello a fiere falcate lungo i corridoi delle Molinette di Torino. L’ex eroe tragico Alberto Ferraris si rivela, invece, l’ombra di sé stesso. La magia di un tempo? Non pervenuta.
Arriva dall’1 ottobre 2023 su Rai Uno Cuori 2, il seguito della fiction Rai che, grazie anche a un successivo passaggio su Netflix e al passaparola del pubblico streaming-addicted, ha raggiunto lo status di piccolo culto. Il triangolo ora diventa quadrato, mentre il tema delle diverse forme di genitorialità si prende la scena. Ma le psicologie dei personaggi si comprimono, anziché approfondirsi.
Cuori 2: Delia afflitta ma non affondata dai lutti, mentre il suo ex grande amore Alberto si riduce a fare da figurante banalmente codardo
Nei corridoi dell’ospedale “Le Mollinette”, il Professore Cesare Corvara (Daniele Pecci), luminare del cuore artificiale, incrocia colei che, per una breve stagione inconsapevolmente felice, è stata sua moglie, la Dottoressa Delia Brunello (Pilar Fogliati), cardiologa dall’orecchio assoluto. Ne approfitta per chiederle di firmare i documenti necessari a procedere all’annullamento del matrimonio presso la Sacra Rota, postillando la sua richiesta con poche parole affilatissime: “Hai rovinato tutto per uno che ha scelto un’altra… brava!”. L’allusione (dolorosa) è al Dottor Alberto Ferraris (Matteo Martari), il cardiochirurgo, pupillo di Corvara, che Delia ha confessato di amare al marito agonizzante per una cardiopatia – ma, poi, tutto bene – e che, per tutta risposta, l’ha lasciata quando ha scoperto che Karen, la compagna svedese a malapena tollerata, era in attesa di un figlio suo. Abbandono, questo di Alberto nei confronti di Delia, che Cuori 2 non ci mostra nei primi due episodi: ellissi narrativa che comunque non ci impedisce di recuperare, per deduzione, i fatti coperti da reticenza rappresentativa.
Delia perde il padre, perde il marito e perde l’uomo che ama (quasi) in un colpo solo: triplice perdita con cui si confronta, in questa seconda stagione di Cuori, senza barattare mai la fierezza con la consolazione fugace e illusoria del piagnisteo. Lei, con le sue gambe lunghissime, la sua pelle d’avorio, i suoi occhi cerbiatteschi e cigliuti, i completi energizzanti e vivaddio alla moda, si staglia imponente su tutti gli altri personaggi (soprattutto maschili); giganteggia nella sua femminilità orgogliosamente moderna, consapevole del proprio valore e tuttavia mai autoindulgente: avevamo lasciato un Alberto perlopiù contrito per iperresponsabilizzazione, un uomo in qualche modo trasparente a sé stesso, affatto compiaciuto di consumare furtivamente la passione mai spenta per Delia (amata negli anni dell’università e poi sacrificata al dovere famigliare), e lo ritroviamo ridotto alla condizione di maschio banalmente vigliacco che, piuttosto che affrontare il problema di un desiderio scomodo, sceglie la via già apparecchiata della rinuncia. Si soffrirà pure, ma è sempre più facile soffrire che conciliare impegno genitoriale e sacrosanto diritto alla realizzazione affettiva. L’arrivo del commissario Giraudo (Alessandro Tersigni), con i suoi baffetti malandrini che non lasciano presagire nulla di buono, trasforma il triangolo della scorsa stagione in un inedito quadrato, ma le nuove geometrie si profilano fin da subito spente, infiacchite da un sentimento pervasivo di avvilimento. Ci viene il sospetto che, alla fine, l’unico cuore vivo sia appunto quello di Delia e gli altri tre pulsino soltanto per abitudine, dietro sollecitazioni troppo elementari per risultare interessanti.
Cuori – stagione 2: valutazione e conclusione
Cuori è – era?– dunque un prodotto Rai più che dignitoso, assoluto guilty pleasure transgenerazionale per romantiche (e romantici) impenitenti, un medical drama di ambientazione sabauda e peri-sessantottina che di certo non rifuggiva i cliché: una donna che si è fatta spazio in un mondo prettamente maschile per la sua preparazione scientifica e il suo talento medico, sposata a un uomo più che stimabile e persino affascinante, ritrova sulla sua strada un amore passato e, anche se l’amore nuovo razionalmente è migliore e più vantaggioso, alla fine comprende che non potrà mai eguagliare la passione interrotta per chi c’era già prima. Del resto, il cuore è un organo che risponde ad impulsi elettrici e chimici: a poco vale cercare di imbrigliarlo in estenuanti ragionamenti per forza di cose a posteriori. Eppure, nel non rifuggire i cliché, e anzi nel nobilitarli, Cuori ha, nella prima stagione, trovato cornici e sensibilità nuove e convincenti entro cui permetter loro di svilupparsi, nei giusti tempi scenici: nell’intersezione di plot principale à la Jules et Jim e discorso ospedaliero corale con il suo fitto reticolo di sottotrame parallele, la serie è riuscita ad avvincere e a restituire la complessità non solo dell’epopea degli amanti, ma anche di un pezzo d’epoca esaltante per la comunità di medici alle prese, ancora in via sperimentale, con limiti e potenzialità della medicina trapiantistica.
Questa nuova stagione riallaccia il filo interrotto nella prima, ma, a differenza della precedente, parte appesantita e stanca: se era già evidente che, benché i personaggi siano tutti discretamente scritti, non tutto il cast fosse all’altezza dello script per qualità della performance attoriale (Martari e soprattutto Fogliati sono due virtuosi, ma gli altri?), i nuovi episodi evidenziano anche una debolezza di scrittura, una certa atrofia delle psicologie, una loro compressione antinaturalistica. La sceneggiatura mostra di voler valorizzare la riflessione sulla genitorialità, ma, nella drammatizzazione dello spunto, procede per strattoni troppo bruschi: Alberto vede il suo bambino per la prima volta e, nel giro di qualche ora, si sente di poter condividere con un anziano padre in apprensione per il figlio malato la consapevolezza di questo legame speciale. Ma davvero la paternità può considerarsi un’epifania? Non è forse, più realisticamente, la costruzione, giorno dopo giorno, di una relazione, la trasmissione simbolica di un’etica di desiderio e responsabilità? Alberto Ferraris, già fratello accudente e zio salvatore, nella nuova veste di paparino folgorato da un furibondo e totalizzante amore per il pargolo, non riesce più a convincerci. E a Delia auguriamo di voltare pagina, noi che pure, con lei, abbiamo creduto all’amore che, nonostante tutto, resiste al tempo (e ai suoi dispetti). Be’, forse, è arrivata per lei, e per noi, l’ora di svegliarsi. Cuori 2 parte in salita: dovrà, con pazienza, riconquistare insieme la sua eroina e il suo pubblico.