Curfew: recensione della serie TV Paramount+ tratta da After Dark di Jayne Cowie

Curfew è una serie TV che prova davvero molto a essere originale ma risulta interessante solo tratti

Curfew, serie prodotta da Paramount+ e basata sul romanzo After Dark di Jayne Cowie, ci trasporta in un futuro distopico dove la violenza di genere sembra essere stata debellata grazie a una misura drastica: il coprifuoco obbligatorio per gli uomini. Con una trama intrigante e un’idea di partenza ambiziosa, la serie mescola crime drama e riflessione sociale, ma fatica a sfruttare appieno il potenziale del suo universo narrativo.
In un Regno Unito trasformato da leggi senza precedenti, tutti gli uomini sono obbligati a indossare braccialetti elettronici che monitorano i loro movimenti e impediscono loro di uscire di casa dalle 19:00 alle 7:00. L’obiettivo? Garantire la sicurezza delle donne, riducendo a zero la violenza maschile negli spazi pubblici. Questa fragile tranquillità si infrange quando una donna viene trovata brutalmente assassinata durante l’orario del coprifuoco.

Una detective ostinata in una società sotto controllo

La protagonista della serie è la detective Pamela Green, interpretata magistralmente da Sarah Parish. Il suo personaggio, segnato dalla tragedia personale di aver perso una figlia a causa della violenza maschile prima dell’introduzione del coprifuoco, è determinato a dimostrare che il sistema, apparentemente infallibile, ha un punto debole. La sua ipotesi – che l’omicidio sia stato commesso da un uomo – si scontra con la resistenza dei suoi superiori, preoccupati di mantenere intatta l’immagine del sistema.
Mentre Pamela cerca di far luce sul caso, emergono dettagli inquietanti: un dispositivo per rimuovere i braccialetti elettronici è scomparso, aprendo la possibilità che uomini non monitorati si aggirino indisturbati per le strade. Parallelamente, la serie ci presenta altri personaggi, come Sarah (Mandip Gill), una donna che cerca di ricostruire la sua vita dopo aver usato un’arma da difesa su un cliente, e sua figlia Cass (Imogen Sandhu), una teenager che mette in discussione la giustizia del coprifuoco.

Nonostante le premesse promettenti, Curfew si muove su binari già percorsi dal classico crime drama, con una struttura che alterna momenti di tensione a indagini più convenzionali. La forza della serie risiede nella performance del cast, in particolare di Sarah Parish, che dona profondità e determinazione a un personaggio complesso.

Un mondo distopico che non convince del tutto

Se da un lato la trama principale riesce a mantenere un certo ritmo, dall’altro il world-building di Curfew lascia parecchio a desiderare. La serie accenna a dinamiche sociali interessanti, come le sessioni di terapia obbligatorie per uomini che violano il coprifuoco e le lezioni scolastiche che analizzano la violenza di genere attraverso statistiche e dibattiti etici. Tuttavia, questi elementi restano abbozzati e poco sviluppati, privando lo spettatore di una comprensione più profonda del mondo distopico in cui si svolge la storia.

Il problema principale è la mancanza di coerenza: come può il coprifuoco risolvere problemi come la violenza domestica, che avviene in spazi privati? Perché si presuppone che gli uomini siano pericolosi solo di notte? Questi buchi logici indeboliscono la credibilità della narrazione e limitano l’impatto del messaggio sociale.
Inoltre, Curfew si limita spesso a spiegare il suo contesto attraverso dialoghi esplicativi, piuttosto che mostrarlo visivamente. Questo approccio, pur utile per introdurre lo spettatore nel mondo della serie, riduce l’immersione narrativa e rende alcune scene eccessivamente didascaliche.

Curfew: valutazione e conclusione

Nonostante i suoi difetti, Curfew riesce comunque a intrattenere grazie a una trama che, seppur prevedibile in alcuni punti, mantiene alta l’attenzione dello spettatore. La serie pone domande importanti sulla violenza di genere e sull’equilibrio tra sicurezza e libertà, ma non riesce a fornire risposte soddisfacenti o a esplorare a fondo le implicazioni della sua premessa.
Chi cerca un thriller solido con una spruzzata di distopia troverà in Curfew un prodotto godibile, sostenuto da un cast convincente e da una regia efficace. Tuttavia, chi spera in una riflessione incisiva e ben articolata sui temi proposti potrebbe rimanere deluso.
Con un’idea di partenza così ambiziosa, Curfew avrebbe potuto diventare molto più di un semplice crime drama. Purtroppo, si accontenta di restare nei confini del genere, perdendo l’occasione di distinguersi davvero.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9