Dark Polo Gang – La serie: la recensione della docuserie Netflix

Il collettivo trap romano racconta la sua storia e apre le porte del suo studio di registrazione.

Le collane, le borse griffate, i coni gelato, i tatuaggi sul viso, i colori sgargianti, il ghigno arrogante, lo smartphone sempre in mano, il marcato accento romano. La Dark Polo Gang non passa inosservata e se non ne avete mai sentito parlare vi siete persi la passione di quelli che Tony e soci chiamano “pischelletti dark”. Vi siete persi anche, a detta di Pyrex, tra le fila della band romana, “la cosa che si avvicina di più ai Beatles su questo pianeta”. A dare l’opportunità di colmare il gap a quanti della DPG nulla sanno è approdata su Netflix la serie dedicata al quartetto, ormai terzetto, Dark Polo Gang – La serie, che ne ripercorre la storia condita dalle interviste ai componenti della band e ai loro collaboratori e, ovviamente, dalla musica del collettivo. Diretta da Carlo Lavagna e Tommaso Bertani, co-prodotta da Oplon Film con Ring Film e trasmessa in esclusiva su TimVision nel maggio 2018, la serie, in 12 episodi, è disponibile su Netflix dal 14 agosto 2020.

La Dark Polo Gang apre le porte del suo studio di registrazione, e più in generale del suo mondo, alle telecamere

Arroganti e sbruffoni, ma in fondo non più di buona parte dei rapper, i componenti della Dark Polo Gang aprono le porte del loro studio di registrazione, e più in generale del loro mondo, alle telecamere nel pieno del loro primo approdo a una major, rendendo il pubblico testimone del momento in cui alla DPG è stato offerto di entrare nel roster Universal. Offerta accettata, chiaramente, non senza una buona dose di autocompiacenza. La stessa bandiera che Tony, Wayne, Side e Pyrex sventolano dall’inizio alla fine della docuserie. Non sarebbero la Dark Polo Gang, del resto, se così non fosse. Il passaggio, avvenuto nel 2018, alla Universal però non è la sola “prima volta” presente nella serie. Gli episodi raccontano infatti anche la prima data europea della band, andata in scena a Londra, e il debutto solista di Dark Side, che avrebbe poi poco dopo lasciato il collettivo. Tolti questi momenti, passaggi chiave nel percorso artistico della band, e i dietro le quinte relativi alla genesi delle canzoni del collettivo – Caramelle, Magazine, British, Cono gelato sono alcuni dei titoli del gruppo – l’impressione è che la formazione sia ancora troppo giovane per avere qualcosa da approfondire all’interno della loro carriera, o perlomeno qualcosa che possa occupare 12 episodi di oltre venti minuti l’uno. Per questo appare un po’ forzato, una volta passati in rassegna i collaboratori della band, su tutti il produttore Sick Luke dietro a quasi tutti i pezzi della Dark Polo Gang, lo spazio dedicato, ad esempio, ad alcune delle famiglie del gruppo o alla relazione di Sick Luke, così come i cameo dei The Pills.

Più interessanti, invece, i passaggi che regalano ai fan aneddoti curiosi e forse meno prevedibili del resto sulla band. Le telecamere seguono, per citarne uno, Tony Effe mentre il ragazzo è intento a creare dall’oro grezzo le collane che porta abitualmente al collo. Il rapper romano fonde l’oro e a partire dal lingottino che ottiene, una volta fatto raffreddare il composto, arriva a forgiare, i suoi ciondoli. Tony aggiunge al gioiello anche alcune pietre, spiegando di essere lui stesso a selezionarle perché provvisto di certificazione. “Studiate”, dice – e non sarà la prima né l’ultima volta – rivolto al pubblico. E ancora, secondo una formula che vede cambiare le parole ma non la struttura sintattica tanto nel corso della serie quanto nell’abituale parlato della band: “Quanto cazzo sono orafo”. Significativo anche il momento in cui Side, tra le mani di un tatuatore impegnato a disegnare una rosa sopra il sopracciglio del rapper, racconta la sua esperienza con i tatuaggi sul volto: “Me ne pento dei tatuaggi in faccia, li ho fatti soltanto in momenti in cui ero fuori di me”, spiega Arturo, che è appena stato lasciato dalla sua fidanzata e a lei ha voluto dedicare queste nuove gocce d’inchiostro. Il momento è uno dei pochi in cui vengono mostrate le debolezze del collettivo, anche se c’è da dire che tra tutti Side è certamente il più incline a lasciare spazio, in mezzo alla spacconeria – ben condensata in frasi tipo “penso che spacchiamo più di ogni altro rapper italiano”, ma anche “noi siamo il nostro punto di riferimento, cioè tipo io sono il mito di me stesso” e ancora “gli altri ci copiano in tutto” – alla fragilità.

“Cosa ne pensate della trap italiana?” “Siamo noi Bro, che ne pensiamo?”

Dark Polo Gang - La Serie Cinematographe.it

La DPG ha costruito buona parte della sua immagine sui social, puntando soprattutto su Instagram, un dettaglio sul quale nella serie giocano anche i The Pills, che in più occasioni ironizzano sugli aspetti più stereotipabili della band. Allo stesso modo, la serie rimanda spesso ai social e alle Instagram stories, inserendoli nei filmati e adottandone lo stile anche nella grafica del progetto. Il risultato è una post produzione molto presente, ricca di effetti e grafiche.

“Cosa ne pensate della trap italiana?”, chiede un fan alla Dark Polo Gang nel corso di un evento benefico in Sicilia. “Siamo noi Bro, che ne pensiamo?”, risponde Pyrex, suggerendo il principale motivo per il quale non ignorare il collettivo romano e provare a capirne lo stile e le influenze può valere la pena al di là del gusto personale. La band romana si è infatti fatta rappresentante di un genere musicale – che non include solo la musica in sé ma anche, come spesso accade, l’immagine che la accompagna – in larga ascesa non solamente in Italia e che diventa dunque interessante da comprendere anche solamente da punto di vista dell’analisi delle tendenze del mercato e del gusto. Che poi tra gli interventi presenti nella docuserie ci sia anche quello di un ragazzino che spiega, raccontando il suo amore per la band, che “dicono quello che vogliono e non hanno paura di farlo e mi danno pure a me un senso di coraggio per farlo”, è un altro discorso, un discorso che fa rabbrividire i puristi dell’hip-hop ma che, piaccio o meno, diventa almeno in parte reale nel momento in cui quel “pischelletto dark” se ne fa portavoce.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8

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