Dead Boy Detectives: recensione della serie Netflix
La recensione della serie spin-off di The Sandman incentrata sulle indagini degli allegri ragazzi morti di Neil Gaiman. Dal 25 aprile 2024 su Netflix.
È notizia recente che Neil Gaiman collaborerà con Graphic India alla realizzazione di un nuovo film animato diretto Jeevan J. Kang dal titolo Cinnamon, la cui data d’uscita però resta ancora da definire. In attesa di ulteriori sviluppi e del deposito della prima pietra, gli estimatori dello scrittore, fumettista, giornalista e sceneggiatore radio-televisivo britannico possono occupare il tempo andando a vedere su Netflix degli show che hanno come protagonisti alcuni dei personaggi nati dalla sua penna, a cominciare da Sandman, il cui adattamento seriale dal celebre fumetto DC Comics è approdato sulla piattaforma a stelle e strisce nell’agosto del 2022, ottenendo un discreto successo. Il ché ha convinto i vertici della grande N a ordinare una seconda stagione, attualmente in lavorazione, e a espanderne l’universo portando sugli schermi una serie tratta dall’omonimo graphic novel di Toby Litt e Mack Buckingham, ora edito in Italia da Panini, a sua volta spin-off dei personaggi già conosciuti nel fumetto originario, creati da Gaiman e Matt Wagner all’inizio degli anni Novanta come comprimari della figura conosciuta anche con il nome di Morfeo. Si tratta di Charles Rowland e Edwin Paine, le anime di due bambini morti che, invece di entrare nell’aldilà, hanno deciso di sfuggire alla Morte e rimanere sulla Terra per fondare un’agenzia investigativa di defunti con la quale indagare sui crimini soprannaturali che saranno al centro degli otto episodi da 60 minuti circa cadauno che vanno a comporre Dead Boy Detectives, disponibile a partire dal 25 aprile 2024.
Dead Boy Detectives è una serie supernatural horror detective comedy-drama condita con un pizzico abbondante di humour very british
Sviluppata da Steve Yockey insieme alla co-showrunner Beth Schwartz, la serie come è facile intuire è un’estensione e al contempo una diramazione di The Sandman, dal quale prende in prestito alcune tonalità affiancandogliene delle altre. L’atmosfera che la caratterizza è infatti meno cupa e più giocosa rispetto alla matrice dalla quale prende origine, motivo per cui sarebbe più corretto ed esplicativo parlare di supernatural horror detective comedy-drama. Tutti questi generi e registri si mescolano senza soluzione di continuità con un bel pizzico di humour very british, alimentando chi più chi meno e con dosaggi variabili la scrittura e il disegno dei personaggi. Ecco che il risultato si va a collocare a metà strada tra il fantasy e le dinamiche dello young adult come è stato anche per progetti analoghi come Lockwood & Co, Locke & Key, Gli irregolari di Baker Street, piuttosto che Buffy, Supernatural e Being Human, a cui la versione televisiva di Dead Boy Detectives deve molto in termini di concept, costruzione e dinamiche relazionali dei personaggi.
Dead Boy Detectives mescola le tipiche dinamiche procedurali con quelle young adult e fantasy
Lo show si presenta infatti come un tipico procedurale che salta da un caso all’altro, episodio dopo episodio, con le linee verticali che si vanno via via esaurendo mentre quella orizzontale prende piede, si sviluppa portando alla luce in maniera rateizzata come trait d’union dettagli e vicende personali legate al passato dei due protagonisti e delle loro spalle (la chiaroveggente Crystal Palace e la studentessa giapponese super kawaii appassionata di fumetti Niko), per poi avviarsi a conclusione. Un arco narrativo, quello orizzontale, che a differenza di quelli verticali non ha la medesima efficacia non viaggiando mai a pieni giri. Viene da sé che nel complesso la serie risulta discontinua e come in gran parte dei procedurali c’è un episodio che convince o coinvolge più di un altro, ossia quello inaugurale e il penultimo.
La discontinuità tecnica, narrativa e interpretativa nelle linee verticali è il tallone d’Achille della serie
A trasformare le pagine degli script in immagini e suoni ci ha pensato una nutrita squadra di registi (Lee Toland Krieger, Cheryl Dunye, Andi Armaganian, Amanda Tapping, Glen Winter, Richard Speight Jr. e Pete Chatmon), troppo folta a nostro avviso per le reali esigenze produttive di un progetto di questo tipo. Con un tale modus operandi si rischia di non avere una coesione stilistica e una eguale resa tecnica tra un episodio e l’altro. E infatti è ciò che si verifica quando analizzandoli singolarmente si riscontra una chiara ed evidente mancanza di continuità che porta alcuni di questi a convincere più di altri per quanto concerne la varietà e l’efficacia delle soluzioni visive. Stesso discorso per le interpretazioni con gli attori chiamati in causa che alternano momenti più lucidi e inspirati ad altrettanti dove fanno fatica a carburare e ad entrare in sintonia con le sollecitazioni emotive, i pensieri e le azioni dei personaggi che sono stati loro affidati. Su tutti proprio George Rexstrew e Jayden Revri, rispettivamente impegnati nei ruoli di Edwin e Charles.
Dead Boy Detectives: valutazione e conclusione
Con Dead Boy Detectives, Netflix amplia un mondo già consolidato piuttosto che doverne creare uno nuovo producendo e distribuendo la serie spin-off di The Sandman. Il ché ha significato prendere in prestito dei comprimari di lusso del celebre fumetto come i due investigatori defunti nati anch’essi dalla penna di Neil Gaiman dando loro un palcoscenico seriale indipendente. Intorno al duo e alle loro indagini Steve Yockey e Beth Schwartz hanno costruito uno show supernatural horror detective comedy-drama che alle dinamiche procedurali accompagna quelle young adult, bagnando il tutto come una spruzzata di humour very british che non guasta mai. Così facendo la serie in questione si distacca per toni e atmosfere da quelle cupe e drammatiche della matrice fumettistica e alla trasposizione dedicata al personaggio di Morfeo. Peccato che a causa degli alti e bassi nella fase di scrittura i singoli episodi risultino discontinui e la linea orizzontale poco compatta. Problematica che si può riscontare anche sul piano tecnico e interpretativo.