Domicilio Coatto: recensione della mini-serie Amazon Prime Video
Un frullato di sottogeneri e citazionismi per questa ex-webserie approdata alla corte di Jeff Bezos.
Siamo in una Roma contemporanea, scialba, criminosa e in attesa della scarcerazione di tale Rocco Gagliardi. O meglio, in attesa sono giusto i familiari e un paio di amici dalla fedina penale dubbia. Ha ottenuto gli arresti domiciliari dopo un anno al fresco il nostro protagonista con il volto di Leonardo Sbragia, e adesso può fare della sua vita la serie tv “due camere e cucina” che mai ci saremmo aspettati di trovare su Prime Video. Stiamo parlando di Domicilio Coatto.
Nata nel 2016 come webserie, ora ritirata da YouTube per ovvie ragioni commerciali, questo comedy-drama cerca di assemblarsi intorno tanti sottogeneri, dal poliziottesco alla Lenzi al cinema di montaggio a schiaffo di Guy Ritchie. Ma procediamo con ordine.
Domicilio Coatto e il citazionismo a valanga
Scritta e recitata in un romanesco che attinge alle borgate di Roma Sud, la vicenda di Gagliardi si circonda di scenari decadenti quanto poveramente kitsch, quanto di personaggi macchiettistici come tossici, travestiti e i due carabinieri poco svegli assegnati alla sorveglianza del detenuto casalingo. Una moglie improvvisatasi blogger di rimedi naturali con un cellulare che sfoggia la suoneria della sigla di Bevery Hills e due figli battezzati (ma guarda un po’) Donna e Dylan ci porta a pensare che i protagonisti siano stati vagamente fan della serie.
Alcuni trucchi sugli attori scimmiottano perfino certe immagini di Pasolini in Uccellacci e uccellini e Porcile. Poi si cita anche un’erudita spiegazione romanesca di Marco Giallini nel Commissario Schiavone in un monologo su voce-pensiero. O addirittura, sempre il nostro, gigioneggia sulla scia di Gambardella nella Grande Bellezza intorno al potere di fare fallire o meno non le feste, ma qualcosa che scoprirete se avrete la voglia di regalare questo pugno di quarti d’ora ad Amazon. Sì, perché il format è brevissimo, un quarto d’ora per ognuno dei soli 5 episodi. Con un finale, ovviamente non spoilerabile, che a livello narrativo chiamerebbe direttamente la seconda stagione.
Domicilio coatto di nome e di fatto
Si tratta di un chiaro prodotto low-budget, o no-budget come si usa dire per le produzioni più povere. Anche il format e i non-sense gettati qui e là su alcune disparità tra personaggi decisamente ingiustificate sanno molto di web, di piccole approssimazioni dovute a ristrettezze nella produzione. Di scrittura così anche il cast non brilla. A cercarne positivamente la forza potrebbe ricordarci il bizzarro esordio di Eros Puglielli con Dorme. Anche lì mezzi zero, ma la voglia incontrastabile di raccontare una storia, quella storia di criminalotti romanzati. E poco importa se il risultato è una grande abbuffata di citazionismi a mitraglia. Anche Tarantino è nato con questa forma mentis, ma gli sviluppi sono diametralmente opposti.
C’è una freschezza morale degli autori rispetto a una vicenda fatta di crimine al buon umore. In questo territorio si batte la strada del tenebroso pacioccone, del cattivo impacciato e della famiglia allegramente a pezzi ma allo stesso tempo inossidabilmente unita. Quindi il plauso va di sicuro alle buone intenzioni, ma restiamo sempre dalle parti di una irriverente e scomposta opera giovanilistica. Resta da chiedersi come mai Amazon stia dando spazio a prodotti di un calibro tale da abbassare la media del listino titoli. Ma il mondo è bello perché è vario. E un po’ pure perché italiano. Quindi, come scolaretti che vedono accidentalmente scritto un 9 al posto del 6 sul proprio compitino, per ora passi pure la presenza di un prodotto italiano in più su questa piattaforma streaming. Ma far numero senza qualità può essere davvero un vanto?