Dr. Death: recensione della serie con Joshua Jackson

Quando il villain è allo stesso tempo anche il protagonista, Dr. Death è un racconto disturbante e spietato celato dietro il sorriso di Joshua Jackson.

Dolore. Paura. Voglia di rinascere. Sono queste le forze che spingono e da cui prende le mosse Dr. Death – ispirata a un noto podcast di True Crime di grande successo negli Usa, che ha  narrato questa triste e angosciante vicenda. La miniserie (8 episodi), dal 12 settembre su Starzplay, ricostruisce il caso del medico americano accusato di negligenza professionale e condannato all’ergastolo nel 2017, colpevole di aver provocato danni irreversibili o mortali a più di trenta pazienti operati per interventi di routine alla spina dorsale. Fin dal titolo della miniserie di Patrick MacManus (Marco Polo) si comprende che Christopher Duntsch, interpretato da un bravissimo Joshua Jackson che dà corpo ad un mistero in carne ed ossa, diretto dallo sguardo di tre registe, Maggie Kiley, Jennifer Morrison, So Yong Kim, che si addentrano nella mente del chirurgo, diventa un pericoloso e atroce macellaio.

Dr. Death: Joshua Jackson porta in scena la parabola del dottor Duntsch

“Tu ti faresti operare dal dottor Duntsch?”

La miniserie segue il percorso del dottor Duntsch, appoggiandosi completamente sull’interpretazione di Jackson – che ha sostituito Jamie Dornan originariamente scelto per vestire il camice di Duntsch – che col suo fascino rassicurante e la sua seducente sicurezza usa la giusta faccia e il giusto comportamento per costruire il motivo per cui tutti all’inizio amano, stimano, credono a quel “camice”. Il volto dell’attore che per molti è ancora strettamente legato a quello del Pacey Witter di Dawson’s Creek: ha sempre quella bellezza rassicurante, l’aura da combina guai dall’animo gentile, nasconde una certa dolcezza, una tenera fragilità. Lui è capace anche di sfoderare uno sguardo basso, intenso e profondo, ed anche freddo, pieno d’odio, quello di un demone pericoloso. Il suo corpo attoriale infatti è duttile, parla varie “lingue” e qui riesce a mostrare ogni fase del percorso orrorifico di Duntsch, della sua perturbante parabola: dall’altare alla polvere. Con la voce sicura, il sorriso sardonico, la boria per cui tutti perdono la testa, il sex appeal, colpisce pazienti che si affidano alle sue mani che credono essere sapienti, dirigenti che gli affidano ogni caso possibile per il suo talento, amici, ma l’inferno, il ghigno del male è pronto a vedersi in contro luce da sotto la maschera, per poi esplodere deplorevole e insopportabile.

Dr. Death: il racconto di un villain terribile e disturbante

“Ci sono solo io, io incarno ogni cosa”

Duntsch è il protagonista ma è anche allo stesso tempo il villain di questa storia spietatamente e angosciosamente vera, una narrazione che mette in scena un macellaio che opera senza intralcio alcuno per un decennio, nonostante la maggior parte dei suoi interventi si riveli un errore, grazie al silenzio dei dirigenti, di un sistema sanitario che punta a salvare la faccia invece che i suoi pazienti. Piccoli interventi, alcuni complessi ma che dovrebbero essere quasi di routine per un luminare, diventano nelle mani del medico un tragico peana di morte, o un tragica danza sbilenca e monca: i suoi gesti non sono elegante espressione di un talento donato al mondo, sono invece testimonianza della sua mente folle, della sua brutalità, del suo super-io ipertrofico e ingombrante. Duntsch è ipnotico, ma anche talmente pieno di tristezza e dolore da distruggere tutto ciò che tocca, è imbrigliato in uno squallido complesso di superiorità capace di nascondere uno d’inferiorità ingestibile.

C’è un momento preciso in cui la storia cambia di senso, quando il dottor Morte inciampa su due colleghi, il dottor Henderson (Alec Baldwin) e il dottore Kirby (Christan Slater) che hanno dovuto, per quanto possibile, risolvere in sala operatoria i problemi creati da Duntsch, e a quel punto decidono di portare alla luce la verità, lui “non è un medico è un macellaio”, e denunciarlo alla commissione medica. Non sarà così facile perché nessuno vuole sporcarsi le mani. Solo grazie all’aiuto dell’assistente procuratore distrettuale di Dallas, Michelle Shugart (Annasophia Robb) riusciranno a raggiungere il loro scopo.

“Sono quello che sono”

Dr. Death delinea un personaggio abietto, rappresenta le oscurità della sua psiche e del suo animo, mostra la sua vita prima che diventi il Dr. Morte, gli inciampi, le cadute, le difficoltà che ha dovuto affrontare (a scuola come negli sport). Lui è egocentrico, permaloso, manipolatore, traditore e falso, quando sbaglia gli interventi trova scuse incolpando gli altri. Si crede un Dio, cammina nel mondo con passo “infallibile” – la stessa camminata un po’ ciondolante e dinoccolata con cui calcava i corridoi assieme a Dawson e a Joey -, costruisce un impero spaventoso di cui lo spettatore si stupisce e si indigna. Chi guarda si trova in sala operatoria, nelle camere dei pazienti, diventati larve rispetto alla loro condizione iniziale, ma si trova anche in casa sua mentre beve, si droga, distrugge le esistenze delle donne che lo circondano.

Quello di Dr. Death è una vero e proprio percorso, un viaggio tra passato e presente – dagli studi medici presso l’Università del Tennessee, passando per le operazioni di chirurgia spinale all’oggi -, tra dramma criminale, biopic e un procedurale (si seguono i due dottori, Kirby e Henderson che vogliono mettere in gabbia Duntsch, le ricerche di Michelle Shugart), per poi farsi anche horror (gli interventi fanno paura come anche le giornate del protagonista che è convinto di essere Dio). Si è sbattuti fino all’origine del Male, tra bisturi e referti di lesioni con cui devono convivere i pazienti causate dal Dr. Morte, tra menti sociopatiche e mani incapaci di operare; è una serie di tormento e di sofferenza. Perseguita il rumore delle ossa che si rompono quando Duntsch rimuove pezzi come un meccanico, intaccando le parti sane, tormenta l’idea di quei muscoli dove tenta di mettere viti, l’idea di entrare in sala operatorio per un dolore alla cervicale o alla colonna vertebrale e uscirne senza corde vocali, il pensiero di essere sotto le mani di una bestia che recide arterie quasi come se non avesse mai seguito un corso di chirurgia. Dr. Death terrorizza proprio e anche perché è una storia verissima che ha colpito tutto il mondo dal 2015, quando Duntsch è stato arrestato, al 2017 quando è stato condannato all’ergastolo.

Dr. Death: un medico che si crede dio

La forza è proprio il suo protagonista, un pazzo con manie di grandezza, un malato di protagonismo, un sociopatico che entra in sala consapevole che probabilmente compirà danni irreversibili. Come una di quelle crudeli divinità si interessa poco degli “umani”, addirittura li disprezza. Mentre è con le mani dentro il corpo dei suoi pazienti sembra compiere movimenti casuali – fino a prima, per avere un caso in più, sorrideva, rassicurava, era amabile per creare con il malato un rapporto di stima e fiducia, ora è un demiurgo spaventoso -, poi sparisce, non si presenta, non si interessa delle conseguenza dell’intervento sbagliato. Uno dei punti più insopportabili è quello legato all’intervento fatto sul suo migliore amico, Jerry: anche verso di lui, l’unico che gli è stato accanto dalla polvere (la gioventù) all’altare (la costruzione di un mito), è sprezzante. Non accetta il suo dolore, la sua paura, anzi gli mente ancora e ancora, tornando una seconda volta in sala operatoria pur avendogli già rovinato la vita la prima, non ha un briciolo di amore, tenerezza, compassione per lui.

Sadico scatena il suo bisogno di controllo e di onnipotenza, schermato dalla legalità che il suo ruolo gli offre, arrogante si presenta dai colleghi, chiede di essere lasciato libero di operare senza intromissioni, pur essendo in balia di stupefacenti, alcool, e soprattutto di una psiche rabbiosa, vendicativa, brutale. Finge o crede di sapere cosa sta facendo, al lavoro però si reca per giorni con lo stesso camice, con uno strappo sul retro, espressione del suo spregio per le regole d’igiene.

Dr. Death è disturbante e impressionante: è scioccante la sua sicurezza con cui taglia, estirpa, spezza, recide. Inquietanti sono gli occhi chiusi e le bocche cucite dei colleghi che tacciono nonostante siano a conoscenza di ciò che accade sul tavolo operatorio, la mal disposizione da parte del sistema ospedaliero nei confronti di chi tenta di incolpare il Dr. Morte. Appare chiaro l’intento di questa miniserie, non tanto capire se il dottore abbia voluto compiere quella carneficina di proposito o per narcisismo, quanto concentrarsi sul fatto che non si sia mai fermato, sul fatto che qualunque altro neurochirurgo dopo aver compiuto quegli errori non sarebbe più entrato in sala operatoria.

Dr. Death: una serie che tiene legato lo spettatore grazie alla scrittura, alla regia e ai suoi attori

Quello di Dr. Death è un racconto schietto, doloroso, a tratti insopportabile, che non stanca mai, che tiene lo spettatore incollato grazie ad una scrittura asciutta, una regia attenta (tanti i dettagli, il buco nel camice, una bustina nascosta in un mobiletto del bagno, il sangue che cola da un corpo martorizzato e martoriato sul lettino, utili a far capire quanto sia assurda, immorale questa vicenda), capace di aumentare il ritmo e la tensione e il disgusto verso un sistema che non dovrebbe esistere. Al contrario rispetto a ciò che capita nelle altre serie in cui i medici sono gli eroi, qui lo si sa fin dall’inizio, Duntsch non è un eroe e per i suoi pazienti non ci sarà un lieto fine, anzi. Nonostante tutto ciò si segue questo prodotto che è un vero pugno nello stomaco e che pungola e ferisce lo spettatore con una forza indicibile. Si deve sottolineare la bravura di Jackson, attore carismatico ed eccezionale che mostra ogni lato del suo personaggio, dà carne e ossa putrefatte ad un uomo pericoloso e dannoso che (auto)distrugge tutto ciò che tocca, un Re Mida al contrario.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.2

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