Elize Matsunaga: c’era una volta un crimine – recensione della docuserie Netflix
La recensione della miniserie true-crime di Eliza Capai che ricostruisce uno dei casi che ha sconvolto il Brasile negli ultimi decenni, ossia quello di Elize Matsunaga, la donna che ha ucciso e smembrato il ricco marito nel 2012. Rilasciato su Netflix l’8 luglio.
Che le docu-serie true-crime vadano per la maggiore in questo momento lo si capisce dal numero crescente di progetti rilasciati nell’arco di questi mesi. Il motivo sta nel fatto che li abbonati alle varie piattaforme sembrano gradire molto questa tipologia di progetti. Il ché ha portato a un aumento considerevole della richiesta, con sempre più registi, autori e produttori a caccia di storie da portare sullo schermo per consentire ai broadcaster di pompare benzina nei propri serbatoi audiovisivi e garantire un’offerta congrua, oltre che di qualità. Per farlo gli addetti ai lavori hanno e continuano ad attingere alla cronaca nera degli ultimi decenni, scavando nel passato per scovare delitti risolti e non che hanno sconvolto intere nazioni e generazioni. Tra questi c’è quello del quale si è macchiata Elize Araújo Kitano Matsunaga, un’ex infermiera brasiliana salita alla ribalta per l’omicidio del marito, il ricco imprenditore di origini giapponesi Marcos Kitano Matsunaga avvenuto il 19 maggio del 2012. La donna, allora trentenne, lo uccise nel loro appartamento a San Paolo, sparandogli un colpo di pistola alla testa, per poi smembrare il corpo e riempire dei sacchetti di plastica con i suoi resti per spargerli in strada a oltre 30 km di distanza.
Elize Matsunaga: c’era una volta un crimine racconta gli incredibili retroscena di uno dei delitti più efferati della storia brasiliana
Ora questo tremendo e macabro delitto, con tutti i suoi incredibili retroscena, è diventato oggetto di una miniserie a carattere documentaristico in quattro episodi (da una 50’ cadauno), approdata su Netflix l’8 luglio. A firmare la regia la brasiliana Eliza Capai, che parte dalla sola e unica intervista a lei concessa in esclusiva in tutti questi anni dalla protagonista, attraverso la quale la donna vuole rimettere insieme tutti i tasselli del mosaico e raccontare la sua di verità, quella che un giorno la figlia della quale ha perso la potestà genitoriale spera voglia ascoltare per riconciliarsi. Ma di tempo prima che questo possa accadere ne dovrà ancora trascorre, perché deve scontare altri dodici anni dei diciannove complessivi che le sono stati inflitti per l’omicidio nel carcere di Tremembé.
Il tempo è l’unità di misura usata dall’autrice per rimettere insieme i tasselli di un complesso mosaico criminale e giudiziario
È proprio il tempo che l’autrice della miniserie utilizza come unità di misura per costruire l’architettura narrativa di questa miniserie, che riporta a galla un evento che ha sconvolto il Paese e creato una profonda spaccatura in un’opinione pubblica profondamente divisa. In ballo non c’è però l’innocenza o la colpevolezza, poiché questa è stata confermata dalla giustizia e dalla confessione dell’autrice del delitto. La domanda da porsi è dunque un’altra: chi è Elize? un’assassina a sangue freddo che ha premeditato l’omicidio o una donna vittima di abusi psicologici che per rabbia e legittima difesa ha ucciso e smembrato il marito che aveva promesso di amare per sempre? Quale versione prevarrà? La risposta non è arrivata in questi nove anni e non sarà di certo quello vedrete e sentirete nella docu-serie ha fornirla. Semmai la visione di Elize Matsunaga: c’era una volta un crimine nel sollevarne di nuove, darà al contempo allo spettatore di turno la possibilità di entrare in contatto con il carnefice e ascoltare le motivazioni che l’hanno portata a compiere quel gesto.
Elize Matsunaga: c’era una volta un crimine si regge su un efficace contraddittorio
Nell’arco dei quattro episodi, la Capai raccoglie numerose testimonianze su entrambi i fronti, riuscendo a creare un equilibrio tra le versione dell’accusa e quella della difesa. Il risultato è un efficace contraddittorio, un botta e risposta tra le parti chiamate in causa sul quale si regge l’impianto narrativo, scandito a sua volta da tre fasi ben distinte: il 2012 (omicidio), 2016 (processo) e 2019 (rilascio temporaneo, che in Brasile viene riconosciuto cinque volte all’anno a tutti i detenuti a regime semiaperto). Rimbalzando da una fase all’altra, il racconto si va componendo come un mosaico di highlights che dal giorno del delitto arrivano quasi sino ai giorni nostri. Nel mezzo il piano di occultamento del cadavere, i tentativi di insabbiamento, la confessione, le indagini, il processo, la sentenza e l’oggi, in cui la donna, tra carcere e permessi, cerca di costruirsi un futuro e riavvicinarsi alla figlia. Ma anche tutto un carico di inquietanti rivelazioni che riguardano il passato di Elize e di suo marito, oltre che al loro travagliato rapporto di coppia fatto di segreti, tradimenti e verità sconcertanti.
Un racconto che riesce a tenere alta l’attenzione di un fruitore che farà moltissima fatica a decidere da quale parte stare
Elize Matsunaga: c’era una volta un crimine riavvolge i fili del passato per poi legarli al presente mediante un lavoro certosino di collegamento tra materiali inediti, ricostruzioni di fiction e repertori (servizi televisivi, interrogatori, deposizioni del processo, video amatoriali privati, filmati originali dell’investigatore privato assunto da Elize per seguire il marito per provare il suo tradimento, quelli delle telecamere di sicurezza del palazzo dove vivevano e della scena del delitto con gli inquirenti, perizie balistiche, rapporti della scientifica, persino simulazioni al computer). Il tutto per dare forma e sostanza a un racconto che riesce, con una serie di turning point ben piazzati nelle timeline dei singoli capitoli, a tenere alta l’attenzione di un fruitore che farà moltissima fatica a decidere da quale parte stare e a quale versione credere.