Emily in Paris – stagione 2: recensione della serie con Lily Collins
Anche in questa seconda stagione della serie Netflix al centro di tutto resta la difficoltà (e la bellezza) di concedersi il piacere.
L’apprendistato di Emily alla joie di vivre continua in Emily in Paris 2, su Netflix dal 22 dicembre 2021: la trasformazione da ingenua americana a parigina indulgente con i suoi errori, e anzi divertita dagli stessi, raggiunge un nuovo punto d’approdo. Ma, al centro di tutto, resta la difficoltà (e la bellezza) di concedersi il piacere.
“Io non sono un porro, Gabriel, sono una ragazza di Chicago. Non posso magicamente trasformarmi in una persona che va a letto con il fidanzato di un’amica senza rimorsi”: Emily (Lily Collins), social media manager americana in prestito all’agenzia di comunicazione parigina Savoir, spiega allo chef normanno Gabriel (Lucas Bravo) – segni particolari: talentoso, bellissimo, sexy, ombroso quanto basta a rendersi irresistibile – perché si fa tanti problemi a concedersi ciò che desidera, vale a dire proprio lui.
Già Sylvie, il suo capo, l’aveva avvisata che a Parigi non è il caso di sprecare le occasioni, perché, per vivere in grande stile, bisogna anche sbagliare in grande stile, anzi “lasciarsi dietro di sé una scia di disastri”. Eppure per Emily Cooper non è sempre facile onorare la parola oracolare della maestra, e qualcosa del suo passato di brava ragazza americana che vuole fare tutto come si deve s’oppone alla sua compiuta trasformazione in parigina senza freni e senza complessi, se non quelli, gli unici ammessi nella ville lumière, del cattivo gusto.
Emily in Paris 2: la necessità l’inverosimiglianza per salvaguardare il diritto alla fiaba
Emily in Paris ritorna con dieci nuovi episodi a pieno ritmo e riprende da dove si era interrotta: il Covid, che nel frattempo ha funestato le nostre vite, non entra, per ossequio alla verosimiglianza, nella finzione, a guastare l’atmosfera da fiaba urbana di una serie che è legittimata a ripudiare ogni forma di realismo per regalarci il sogno che ci meritiamo in tempi così duri, perché, come sembra dire Sylvie a Emily e indirettamente anche a noi, la vita non può essere sempre una festa, ma, se non ce ne concediamo mai neanche una, allora più che da elogiare siamo proprio da compatire.
Emily in Paris 2 fa ciò che deve esattamente come deve, e nulla possono gli igienisti della buona visione contro la sua sublime inconsistenza di comfort show natalizio (ma va bene pure a primavera): se non si cede al binge watching, ci si nega colpevolmente un piacere, e, come scoprirete al termine dei questa recensione, la serie ci insegna proprio questo, che a essere colpevole non è mai il piacere, ma il suo sacrificio. Così come la prima stagione, Emily in Paris 2 intona, negli occhi cigliuti e colmi di stupore di Lily Collins, il suo canto d’amore a una cultura, quella parigina, che resiste all’imperativo dell’efficientismo e della produttività a tutti costi e rappresenta il miglior esempio di bon vivre, ancora di più oggi che attraversiamo un’epoca in cui nessuno sa o vuole più godere.
Emily in Paris 2: continua il romanzo di formazione di Emily, non più così sprovveduta ma neanche del tutto liberata (dai sensi di colpa)
Il romanzo di formazione di Emily procede allora, senza però raggiungere l’approdo definitivo (il finale, apertissimo, rilancia a una terza stagione), proprio nella direzione della conquista di una libertà di godimento, verso il disarmo e l’avventura, senza limiti o date di scadenza, della gioia di fregarsene dei benpensanti.
Al di là della frivolezza di un prodotto confezionato per intrattenere con leggerezza e ricompilare i cliché dell’epopea glam-romantica della provinciale ingenua trapiantata nella capitale della decadenza e della lussuria, Emily in Paris continua a mostrarci qualcosa che frivolo non è affatto: quanto è difficile, e insieme esaltante, veder cadere una dopo l’altra tutte le nostre remore e i nostri sensi di colpa, imparare che, se pure commettiamo qualche errore, questo non solo non è una tragedia, ma neppure sottrae nulla alla nostra pretesa virtù, poiché questa, semplicemente, non importa a nessuno.
Emily in Paris ci dà appuntamento a un terzo capitolo
Emily Cooper non rinuncia neanche in questo secondo capitolo ai suoi vestiti variopinti, rigorosamente male abbinati, e fa bene, anche se a Parigi tali azzardi estetici non possono che suscitare il sorriso – e anche un certo londinese che compare nella sua vita sembra essere dello stesso avviso –; ciò che sbaglia, però, dolorosamente a sue spese, è prendersi per amare un tempo che non ha, nella paura che possa finire ciò che di cui si è privata.
Ma, ed è la nota con cui lo show ci lascia per darci ancora un appuntamento, non solo finisce per forza ciò che non comincia, talvolta può anche darsi il caso che il tempo di viverlo non sia neppure così poco. Di certo non lo è, se lo si consuma a Parigi, città in cui l’unico peccato è rinunciare a ciò che si desidera perché si crede di non poterlo avere.